La decisione del governo di inserire, all’interno del nuovo decreto Sicurezza, il divieto alla vendita e produzione della cannabis light ha riaperto una frattura che attraversa da anni l’opinione pubblica, la politica e anche il mercato del lavoro. Il provvedimento, entrato in vigore il 12 aprile, ha vietato l’importazione, la lavorazione e la commercializzazione delle infiorescenze di canapa sativa con contenuto di THC inferiore allo 0,2 per cento, equiparandole nei fatti alla cannabis con effetti psicoattivi.

Secondo l’esecutivo, la norma rientra in una più ampia strategia di contrasto al microspaccio e alla diffusione di sostanze ritenute potenzialmente dannose. Per molte associazioni e realtà economiche, tuttavia, si tratta di un colpo diretto a un settore legale e regolamentato, che negli ultimi anni ha generato un indotto da oltre 500 milioni di euro, con circa 1.500 aziende coinvolte nella filiera e circa 10mila posti di lavoro a rischio. L’unica eccezione prevista dal decreto riguarda la produzione per il “florovivaismo professionale”, una definizione ambigua che non tutela né i coltivatori né i commercianti.

La stretta sulla cannabis light ha riacceso anche il dibattito più ampio sulla legalizzazione della cannabis con effetti psicoattivi, ancora illegale in Italia per uso ricreativo, ma ammessa in alcuni contesti europei sotto regole precise. Mentre altri paesi procedono verso la depenalizzazione, l’Italia sembra imboccare una strada opposta, segnando un passo ulteriore nella deriva securitaria denunciata da diverse organizzazioni giuridiche e civili.

In questo contesto, abbiamo chiesto alle lettrici e ai lettori di Domani iscritti alla newsletter quotidiana Oggi è Domani di esprimere la propria opinione.

Siete d’accordo con il divieto della cannabis light?


Il 94,6 per cento dei partecipanti ha risposto no. In moltissimi commenti si legge una forte insofferenza verso un divieto considerato inutile, punitivo e dannoso per l’economia. Alcuni parlano di «accanimento politico» contro un intero settore, altri lo definiscono «un provvedimento assurdo» che rischia di «mettere fuori legge un prodotto che non fa male a nessuno».

Ricorre spesso l’idea che questa stretta serva più a “dare un messaggio” che a risolvere problemi reali: «Si colpisce la cannabis light solo perché è visibile, non perché sia pericolosa», scrive un lettore. Un’altra abbonata aggiunge: «È una scelta che penalizza migliaia di lavoratori e lavoratrici, senza nessuna giustificazione scientifica».

E sulla cannabis con effetti psicotropi?

Il 68,5 per cento si è detto favorevole alla legalizzazione per uso ricreativo. A questa percentuale si aggiunge un ulteriore 16,3 per cento favorevole, ma solo «con rigida regolamentazione e sotto stretto controllo». Sommando queste due posizioni, emerge un consenso molto ampio: l’84,8 per cento degli abbonati è a favore di un cambio di approccio rispetto all’attuale proibizionismo. Solo il 15,2 per cento si è detto contrario alla legalizzazione.

Anche in questo caso, i commenti sottolineano l’inadeguatezza dell’attuale assetto normativo: «La repressione non ha mai funzionato», scrive un lettore, «meglio sarebbe togliere il monopolio alle mafie e destinare le entrate fiscali alla prevenzione». In molti fanno riferimento ai modelli già adottati in altri paesi europei e c’è chi propone di trattare la cannabis come il vino o il tabacco, con regole chiare, limiti d’età e campagne educative: «Legalizzare non significa banalizzare, ma governare un fenomeno che esiste già».

In più di una risposta si legge anche l’auspicio che il tema venga finalmente affrontato «con serietà e senza moralismi».

GLI ULTIMI SONDAGGI

Nelle scorse settimane abbiamo chiesto alle lettrici e ai lettori della nostra newsletter cosa pensano di temi molto diversi tra loro.

Ci siamo occupati, per esempio, del decreto legge sul terzo mandato dei sindaci: la maggioranza dei partecipanti si è detta contraria a una modifica delle regole a ridosso delle elezioni, sottolineando l’importanza di salvaguardare la trasparenza e la coerenza delle regole democratiche.

Sul voto in condotta, invece, ci siamo interrogati insieme sull’opportunità di farlo pesare nell’esame di Stato: ne è emerso un confronto vivace tra chi lo considera uno strumento educativo e chi invece teme che possa diventare una sanzione punitiva e poco formativa.

Infine, dopo il ritorno sotto i riflettori del caso Garlasco, abbiamo chiesto se il trattamento riservato dai media alla vicenda sia stato equilibrato. In molti hanno espresso disagio per il taglio sensazionalista di certa informazione e per l’attenzione sproporzionata rispetto ad altri casi analoghi rimasti in ombra.

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