Le convulsioni di Forza Italia dopo la morte del fondatore-patriarca e lo spettro del passato sovranista minacciano la stabilità del governo Meloni. Ieri la maggioranza è andata sotto al Senato durante un’importante votazione sul decreto lavoro a causa dell’assenza di due senatori di Fi. Nel frattempo il governo si è diviso sul Mes, con il ministero dell’Economia guidato dal leghista Giorgetti che ha mandato in commissione un documento che smentisce i timori sull’approvazione del trattato che Lega e Fratelli d’Italia ripetono da anni. «La maggioranza è nel caos», ha commentato la segretaria del Pd Elly Schlein, mentre per il leader del Movimento 5 stelle Giuseppe Conte «Meloni è allo sbando».

Il decreto lavoro

L’ultimo “incidente” in ordine di tempo è quello accaduto a Palazzo Madama. La maggioranza avrebbe dovuto votare il parere del governo agli emendamenti della relatrice al decreto, il famoso provvedimento approvato dal governo Meloni lo scorso primo maggio e duramente criticato da opposizione e sindacati.

Al momento del voto in commissione Bilancio, però, la prima volta sono mancati due senatori di Forza Italia, Claudio Lotito e Dario Damiani. La votazione è finita così dieci a dieci.

Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ha detto che «è stato un incidente di percorso procurato da un ritardo di 5 minuti», i due erano «a un cocktail di compleanno». Lotito e Damiani hanno assicurato che si è trattato di un banale incidente, ma secondo l’opposizione Lotito ha fatto fallire la votazione apposta, come rappresaglia per non aver ottenuto dalla maggioranza la possibilità di modificare un altro provvedimento sulla lotta alla pirateria online. Da aggiungere che nel pomeriggio è arrivato un nuovo parere agli emendamenti al decreto Lavoro (questa volta approvato), e la relatrice Paola Mancini, ha deciso di ritoccarli.

Non sembra un caso che questo incidente sia avvenuto a pochi giorni dalla morte di Silvio Berlusconi, che ha lasciato Forza Italia senza guida e punti di riferimento. «Uno spettacolo davvero poco edificante», lo ha detto il leader di Azione, Carlo Calenda. Un pezzo di Fi, prosegue Calenda «ha voluto dare un messaggio. Se questo è l’esordio del dopo Berlusconi, la maggioranza rischia il caos».

Il Mes

Caos e indisciplina dentro Forza Italia rendono il partito un partner sempre meno affidabile per il governo, ma nel frattempo nuove divisioni emergono anche all’interno dell’esecutivo. Ieri mattina, poche ore prima del voto in Senato, era toccato ai deputati della maggioranza ricevere una sorpresa poco gradita. Sul tavolo della commissione Esteri, infatti, è comparso un documento del ministero dell’Economia che di fatto raccomandava la ratifica della riforma del Mes, il provvedimento contro cui Lega e Fretelli d’Italia, oltre una parte di Forza Italia, lottano da quasi quattro anni.

Il documento, preparato dal capo di gabinetto del ministro leghista Giancarlo Giorgetti, prende in esame e confuta tutti i principali argomenti usati contro il Mes dalla destra sovranista negli ultimi anni. Ad esempio, non sarebbe vero che ratificarlo causerà un aumento degli spread. «Sulla base dei riscontri ricevuti da analisti e operatori di mercato, è possibile che la riforma del Mes – scrivono i tecnici del ministero – porti ad una migliore valutazione del merito di credito degli Stati aderenti».

E per quanto riguarda  gli effetti indiretti, cioè il timore che la ratifica finale delle modifiche spaventi i mercati poiché, da quel momento, lo strumento diventerebbe utilizzabile, «non si rinvengono nell'Accordo modifiche tali da far presumere un peggioramento del rischio». Falso anche che la ratifica del nuovo Mes comporterà costi aggiuntivi per il nostro paese: «Dalla ratifica del suddetto accordo non discendono nuovi o maggiori oneri».

Insomma, il ministero dell’Economia ha smontato anni di propaganda anti-euroea portati avanti non solo dalla Lega di Matteo Salvini, ma anche da Giorgia Meloni, che nel 2019 aveva definito «alto tradimento» la votazione a favore della riforma da parte del secondo governo Conte.

Sono passati anni da quando Meloni, allora alla guida di un partito dato poco sopra il 4 per cento, cercava costanemente di non farsi superare dall’alleato leghista nell’allarmismo anti-europeo. Oggi Meloni cerca di presentarsi come una moderata e rispettabile europeista, ma l’antica ostilità al Mes non è scomparsa. Se oggi votarlo non è più «alto tradimento», rimane comunque «uno stigma», come ha ripetuto pochi giorni fa.

Nel frattempo, l’Italia è l’unico paese della zona euro a non aver ratificato il trattato, un fatto che viene rinfacciato al nostro paese ad ogni riunione europea. Meloni sta cercando di ottenere una qualsiasi concessione su qualche altro dossier per giustificare un voto favorevole al Mes (una modifica dello stesso trattato, improbabile, o magari una concessione sulla riforma del patto di stabilità), ma per ora i partner europei non vogliono sentirne parlare.

Il tempo però rischia di esaurirsi. L’opposizione ha ottenuto la calendarizzazione del voto sulla ratifca il prossimo 30 giugno. La maggioranza dovrebbe avere i numeri per respingerlo (anche nel caso di completa defezione di Forza Italia), ma così facendo rischia di dichiarare guerra a Bruxelles, proprio mentre la Commissione sta ancora trattenendo la terza rata del Pnrr e valuta se e come erogare la quarta. L’unica speranza, e la strada che la maggioranza sta seguendo al momento, è quella di cercare di rinviare il voto. Nella speranza che, nel frattempo, la situazione dentro la maggioranza e il governo si risolva da sola.

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