Per almeno 203 giorni un detenuto del carcere di Cassino ha vissuto in condizioni inumane e degradanti, contrarie alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Per questo motivo il magistrato di sorveglianza di Frosinone ha deciso di scarcerarlo, accogliendo il suo ricorso.

È una pronuncia innovativa quella che arriva dal Lazio, non la prima del suo genere ma forse la più rumorosa per le conseguenze che si porta dietro, anche perché accende i riflettori su un carcere da tempo definito problematico sotto molti punti di vista.

La situazione a Cassino

Il garante dei detenuti del Lazio, Stefano Anastasia, ha denunciato più volte la situazione critica nella casa circondariale di Cassino. Da una parte la struttura vecchia e fatiscente, dall’altra un problema di sovraffollamento che nel 2020 raggiungeva picchi del 156 per cento. «È un istituto problematico, dove un intero padiglione è diventato inagibile per un cedimento del suolo nel 2019. Alcuni detenuti sono stati trasferiti altrove, altri si trovano stipati nel padiglione che rimane disponibile», spiega Anastasia.

«C’è un problema di spazi e manutenzione, ma non solo. Per esempio il padiglione pericolante ha impedito ai detenuti di svolgere certe attività, come accedere al campo da calcio».

Quando Anastasia ha girato tra le celle ha riscontrato una situazione non consona con la legge, in particolare nell’obbligo di garantire a ciascun detenuto uno spazio uguale o superiore a tre metri quadrati. «Nelle stanze c’erano fino a sei persone e il conteggio dello spazio non era quello che sosteneva l’amministrazione penitenziaria, che calcolava anche l’ambiente del bagno per la definizione della superficie pro capite», sottolinea il garante.

Una situazione di sovraffollamento non solo nei numeri ma anche nei fatti, un elemento in grado di complicare non poco la già difficile sopravvivenza dei detenuti tra le mura del carcere.

Un indicatore delle problematicità del carcere di Cassino emergono anche leggendo l’ultimo rapporto sulle prigioni italiane di Associazione Antigone, pubblicato a luglio.

Nel capitolo dedicato agli atti di autolesionismo spicca proprio l’istituto laziale, al secondo posto in Italia in questa triste voce con 60 episodi riscontrati ogni 100 detenuti nei primi sei mesi del 2021.

La vittoria di un detenuto

Di fronte a questa situazione, un detenuto 35enne che stava scontando a Cassino una condanna a quattro anni di reclusione per rapina e reati contro il patrimonio ha deciso di far valere i suoi diritti. Nel giugno scorso ha presentato istanza al tribunale di sorveglianza ai sensi dell’articolo 35bis dell’ordinamento penitenziario, che dal 2013, a seguito della sentenza Torreggiani con cui l’Italia è stata condannata dalla Corte europea per sovrafollamento delle carceri, consente a «persone detenute o internate che abbiano subito una lesione di un diritto fondamentale in seguito a un provvedimento o a una condotta illegittima dell'amministrazione penitenziaria» di fare reclamo per ottenere un rimedio o compenso.

Nel caso specifico, il detenuto lamentava una violazione dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che stabilisce che «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti», nel momento in cui lo spazio in cella a sua disposizione è stato inferiore a quello definito per legge. E il magistrato di sorveglianza di Frosinone gli ha dato ragione, in una pronuncia simbolicamente molto importante in un paese dove il sovraffollamento carcerario continua a essere un problema, con un tasso nazionale al 113,1 per cento e alcuni istituti che fanno segnare numeri spaventosi come quello di Brescia (200 per cento), Grosseto (180 per cento) e Brindisi (170,2 per cento).

«Il reclamante dal 16 maggio 2020 al 28 giugno 2021 ha avuto a disposizione uno spazio individuale inferiore a 3 metri quadri per giorni 203», scrive il magistrato di sorveglianza di Frosinone, che «accoglie il reclamo del detenuto con riguardo alla detenzione inumana e degradante eseguita nella casa circondariale di Cassino».

Come riparazione del danno, al detenuto è stato riconosciuto un risarcimento simbolico di 24 euro ma soprattutto la scarcerazione, effetto di una riduzione di 20 giorni della sua pena che già era in esaurimento.

«È una pronuncia importante anche se non è la prima di questo tipo. Negli ultimi tempi sta andando formandosi una giurisprudenza a proposito delle condizioni detentive che devono soddisfare i requisiti di umanità, anche perché altrimenti la Corte europea ci bastona ogni volta», spiega Vincenzo Macari, l’avvocato del detenuto.

«Nel caso di Cassino la situazione è stata critica per il mio detenuto, ma anche per altri suoi compagni». Non è un caso che proprio nel maggio scorso, sempre in riferimento al carcere di Cassino, ci sia stata un’altra pronuncia di questo tipo, sebbene meno incisiva.

Il tribunale di sorveglianza ha stabilito che per 58 giorni tra marzo e aprile 2020 le condizioni di prigionia di un detenuto sono state lesive dell’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, con una superficie a sua disposizione di 2,39 metri quadrati. In quel caso la riparazione è consistita nella riduzione simbolica della pena detentiva di cinque giorni.

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