Il governo inventa una card per i 19enni, ma specifica che varrà solo per chi si diploma entro i 19 anni, come se fosse un regalo. Ma la cultura serve a disegnare orizzonti e dare speranza, a costruire un immaginario in cui immedesimarsi.
Il dibattito sulla definizione di cultura è lungo e articolato. Ma oggi vale la pena di riprenderlo nel momento in cui nella definizione della legge di bilancio si torna a contrapporre le spese “davvero utili”, ovvero quelle per sanità e sociale, a quelle per la cultura che “si possono tagliare” a favore di queste. E a farlo è nientemeno che il ministro della Cultura. Che con un classico del populismo strizza l’occhio al senso comune: noi possiamo sacrificarci.
Nel frattempo il governo torna un po’ sui suoi passi per la carta cultura ai 18enni, inventa una Carta Valore, toglie l’isee e altre complessità che aveva inserito e che l’avevano fatta incagliare, ma specifica che varrà solo per chi si diploma entro i 19 anni.
Perché? Perché appunto è un premio, un regalo. Non la risposta a una necessità, un diritto universale che si acquisisce con la maggiore età. Che si dovrebbe ottenere, quindi, indipendentemente dal risultati scolastici e che magari dovrebbero avere di di più proprio ragazze e ragazzi che al diploma faticano ad arrivare.
Intanto, da noi una norma minima come quella sull’indennità di discontinuità non riesce a decollare mentre in Irlanda si introduce il reddito di base per gli artisti.
Crisi ed emergenza
Proviamo ad unire i puntini. Aggiungiamo la crisi educativa e l’emergenza culturale che stiamo attraversando. I dati che ci mettono davanti una perdita delle capacità di lettura di testi complessi, molteplici forme di analfabetismo di ritorno. E la relazione che esiste tra strumenti culturali e la capacità di non finire raggirati in una truffa, di non farsi del male con diagnosi mediche fai da te, di comprendere i rischi ed evitare pericoli anche mortali alla guida o sul lavoro. Di essere, insomma, cittadine e cittadini consapevoli.
Eccola la funzione della cultura. Sociale, emancipatrice, democratica. La cultura salva la vita. Non è una esagerazione. E non a caso da anni si discute da più parti di introdurre la deducibilità fiscale dei consumi culturali come per i medicinali. Perché è provata la funzione di supporto agli stati di ansia e depressivi. Perché è una cura per la salute mentale.
Se aggiungiamo una fotografia di chi è rinchiuso nelle sovraffollate e mortali carceri del nostro Paese possiamo scoprire una connessione diretta tra le scarse opportunità culturali e formative e la caduta nella sfera dell’illegalità e della violazione delle norme, che spesso nemmeno ha gli strumenti per comprendere, e scoprire come l’incontro con i libri, con il teatro, con la scuola sono spesso tra i pochi efficaci strumenti di rinascita proprio in quel contesto estremo.
A cosa serve la cultura
Ecco allora un pezzo alla volta, mattoncino su mattoncino, si delinea il quadro della funzione delle politiche culturali come strumento di miglioramento della qualità della vita e di diffusione degli strumenti per affrontare le difficoltà, le fatiche, le paure.
Per orientarsi in un mondo “grande e terribile”. Per capire la propria dimensione, la propria storia, la propria appartenenza e metterla in relazione con l’altro.
Non un premio, non un orpello, non un affastellamento inutile di parole forbite di cui non a caso fa spesso sfoggio il Ministro, che infatti poi è ben disposto ai tagli. Non la cultura del salotto ma quella capace di entrare nella vita di chi ha poco e persino nulla e cambiarla, rischiararla e riscaldarla come un raggio di sole. Poesia tra le macerie.
Ci sono migliaia di storie che la raccontano. Indagini sociologiche e meravigliose pagine di letteratura. Immagini troppo romantiche? Scene da neorealismo? Senz’altro sì. E infatti furono proprio quel cinema, quella letteratura con i teatri rinati e popolari e le biblioteche in ogni Comune, con la scuola passo dopo passo sempre più per tutti a far rialzare un Paese devastato dalla guerra e dalle violenze della dittatura. A disegnare orizzonti e dare speranza, a costruire un immaginario in cui immedesimarsi. In Italia ma in tutta Europa.
Investimenti coraggiosi
Alla violenza che si diffonde nelle nostre strade, alla rabbia profonda di intere fasce della popolazione e di una generazione che si sente espulsa si risponde certamente con interventi in campo economico e sociale- che in verità scarseggiano- ma si risponde anche con investimenti culturali coraggiosi, rischiosi, innovativi. Per sperimentare.
Con l’ossessione di agganciare chi non conosce nemmeno l’esistenza di questo salvagente. Correndo il rischio di navigare in direzione ostinata e contraria e seminare gocce di splendore nel deserto dell’apatia, dell’abbandono, del conformismo, del fatalismo che diventa gabbia. Accendere le luci, far partire la musica. Come nel finale poetico e straziante di Jo Jo Rabbit. Tornare a ballare. Tra le macerie. Perché «qualunque cosa si dica in giro parole e idee cambiano il mondo».
*Capogruppo del Pd in commissione cultura alla Camera
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