L’ex premier ha messo il suo nuovo brand Casa riformista sulla lista personale del presidente uscente, ma i voti arrivano anche da altre realtà libdem. Intanto, si continua a cercare un federatore che tenga insieme tutti i movimenti al centro, mentre i riformisti provano a emanciparsi
«Io vengo tutte le volte con il 9 per cento» dice Matteo Renzi a Lilli Gruber alla fine della puntata di Otto e mezzo in cui celebra la vittoria di Eugenio Giani e il buon risultato della sua Casa riformista alle regionali toscane, prima di correre da Massimo Giletti a riprendere a commentare le elezioni regionali nello studio di Lo stato delle cose.
I festeggiamenti continuano nella giornata di mercoledì con un’intervista alla Stampa e un’e-news, il tono trionfalistico è sempre lo stesso: «Casa riformista sarà decisiva anche in Campania. E il 4,4 fatto in Calabria, dentro a una sconfitta cocente, vale quanto il quasi 9 per cento toscano». Se non fosse che «il quasi 9 per cento» in realtà non è solo farina del sacco dell’ex premier. Dei quattro eletti effettivamente due sono renziani, mentre gli altri due sono espressione di Avanti per la Toscana, progetto dell’area libdem nato a dicembre scorso. All’epoca, la ricandidatura del presidente uscente era ancora scritta nelle stelle e lo sguardo di Avs, M5s e Pd era rivolto da tutt’altra parte.
+Europa, Azione, Partito repubblicano italiano e Partito socialista italiano avevano a quel punto preso posizione in maniera esplicita per sostenere Giani per un secondo mandato. Dopo che in estate era poi andata in porto l’alleanza con i Cinque stelle, però, Azione si era fatta da parte rompendo con la coalizione (e al suo interno), privando la lista del simbolo necessario per non tornare a raccogliere le firme. A risolvere il problema, il subentro della lista di Italia viva. A caro prezzo, però, considerata la progressiva evoluzione da Avanti per Giani in Casa riformista verso un simbolo definitivo in cui è sopravvissuto il nome del presidente uscente con la sola Casa riformista.
Ora, però, Renzi vuol mettere il cappello al capitale politico che ha raccolto, provando a riproporre la stessa formula nel panorama politico nazionale e prima ancora in Campania. Dove però le geometrie centriste potrebbero essere già molto diverse di come si sono presentate in Toscana: mentre l’ex premier ha già annunciato di voler riproporre Casa riformista, infatti, altre formazioni potrebbero tornare a raccogliersi intorno a una lista Avanti.
Resta poi l’interrogativo che riguarda, al di là delle candidature forti dei renziani Francesco Casini e Stefania Saccardi a Firenze, il peso del nome del presidente nel simbolo della lista (l’unico che lo riportava, nella coalizione). Il valore della candidatura di un amministratore dalle capacità comprovate preoccupa anche nel resto dell’universo progressista: un sondaggio di Renato Mannheimer per Italia oggi rivela infatti che in caso di primarie, l’elettorato di coalizione sarebbe più attratto da Giuseppe Conte come candidato premier. Di nuovo, un politico che ha già dato prova di sé in un ruolo di peso.
Travagli riformisti
Nel Pd minimizzano, ma è un fatto che il risultato in Toscana fotografa una tenuta del partito, non una crescita. Le antenne riformiste iniziano però a registrare un “risveglio tematico” della segretaria, che sembra voler diversificare maggiormente la sua agenda negli ultimi tempi. Le ragioni sono da ricercare nella voglia di preservarsi, negli avvertimenti della minoranza e delle parti sociali, ma anche nella consapevolezza che a sinistra non ci sono più voti da sfilare a M5s e Avs. Per non parlare del fatto che la parabola di Silvia Salis, al Nazareno, non sta passando inosservata. L’attenzione della segreteria non è un segreto, ma il fatto che le intenzioni della sindaca di Genova siano ancora un mistero – una scalata del partito, un futuro da federatrice del centro, una candidatura alle primarie o la prospettiva di saltare un turno per tornare poi da protagonista dopo le prossime elezioni – rendono ancora confuso il futuro del campo progressista.
Dalla prospettiva riformista, infatti, la soluzione va cercata dentro al partito, non fuori. A questo servirà l’appuntamento di venerdì 24 ai Bagni misteriosi a Milano: «Un incontro tematico, di contenuti. Infatti si chiama “La crescita”, un argomento che ultimamente nel partito è passato in secondo piano», raccontano dalla corrente. Non si vive di solo salario minimo, è il ragionamento, e i lib-lab sperano di riaprire il discorso sulla vocazione riformista. La rottura con Stefano Bonaccini – «che ci ha tenuti in congelatore» osserva malizioso un parlamentare – è ancora fresca, soprattutto per il presidente che pubblica frecciate sui social.
Quanto a quel che c’è là fuori (nel senso di oltre i confini del Pd), l’attesa è per qualcuno che, alla fine, possa prendere in mano i tanti progetti che corrono paralleli. «Per scegliere un amministratore di condominio, però, prima dev’esserci bisogno di installare un ascensore che nessuno da solo si può permettere» spiega un veterano dell’universo centrista. Tradotto: nessuno ha ancora realizzato la necessità di costruire qualcosa insieme. E così, da un lato c’è Alessandro Onorato – altro amministratore – che il 20 organizza il lancio del suo movimento, spalleggiato sempre da Goffredo Bettini, che nel frattempo avrebbe riaperto anche un canale con Matteo Renzi.
Un po’ più in là veleggia serena Salis, un potenziale inevaso da “Bella guagliona”, come Prodi chiamava a suo tempo Francesco Rutelli, contesa da vari padrini, in cima alla lista Dario Franceschini e Renzi. A entrambi però la sindaca per il momento si rifiuta di giurare fedeltà. «Se la prende in mano Renzi, i cespugli muoiono» sentenzia poi chi conosce bene i diversi protagonisti in gioco. Anche perché c’è da tenere d’occhio anche Ernesto Maria Ruffini, l’associazione di Marco Bentivogli, DrinDrin e tutto quel che si muove più verso destra: le creature Luigi Marattin, Andrea Marcucci e perfino Azione di Carlo Calenda, che ultimamente ha guardato decisamente più al centrodestra che al campo progressista, ma nella vita non si sa mai.
Resta il fatto che di tutto questo – meno che mai dei movimenti dei riformisti dem, che ha fustigato con una risposta incendiaria su Paolo Gentiloni, reo di aver avuto «tutto dal suo partito: l’ho salvato io» – Renzi non ha il controllo. Anzi, non ce l’ha nessuno, per ora.
© Riproduzione riservata



