Il tribunale dei ministri continua a lavorare. Il 29 aprile era la data entro cui si sarebbe dovuto pronunciare sul caso Almasri: il termine dei 90 giorni non era però perentorio. Dunque nessuna decisione e nessuna richiesta di proroga dell’inchiesta che vede indagati la premier Giorgia Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano.

Il fascicolo sul torturatore libico era stato aperto a seguito della denuncia presentata dall'avvocato Luigi Li Gotti, in cui si sono ipotizzati oltre al reato di favoreggiamento anche quello di peculato e omissioni di atti d'ufficio. Alla denuncia di Li Gotti se ne era aggiunta un’altra: quella di una vittima del libico Almasri. Il tribunale dei ministri nei giorni scorsi aveva proceduto a una richiesta di esibizione di atti presso il ministero della Giustizia e il Viminale. E aveva sentito diverse persone, tra cui anche i vertici dei servizi segreti.

La vicenda

Lo scorso 19 gennaio il generale libico Almasri su cui pendeva un mandato d’arresto della Corte penale internazionale per crimini contro l’umanità è stato arrestato a Torino - dove era arrivato il giorno prima dalla Germania con un'auto presa a noleggio su mandato della Corte dell’Aja.

Due giorni dopo la Corte d'Appello di Roma non ha convalidato l’arresto a causa di un cavillo giuridico che il ministro della Giustizia Carlo Nordio, avvisato sin da subito dell’arresto, poteva sanare. Un vizio di forma che, pertanto, è rimasto: lo stesso giorno del rilascio Almasri viene ricondotto in Libia sul volo gestito dai servizi segreti.

Sul caso indaga anche la Corte penale internazionale, alla quale entro il 6 maggio, dopo diverse proroghe concesse, l’Italia dovrà inviare le proprie memorie.

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