Il primo voto mai tenuto su Rousseau risale al 2012, quando gli iscritti vengono consultati per selezionare i candidati alle politiche di febbraio 2013. Da allora, la piattaforma inventata dai fondatori del Movimento 5 stelle ha avuto un ruolo sempre più importante nella vita politica italiana.

Oggi è di nuovo ago della bilancia per la formazione del governo Draghi e dopo la «sospensione» (sic) del voto annunciata dal capo politico reggente Vito Crimi, gli attivisti dovranno finalmente decidere come porsi. Il quesito, relativo più al programma che al nome del prossimo presidente del Consiglio, sembra avere già una risposta sottintesa: Sì. I Cinque stelle si erano riservati di aspettare l’uscita di Mario Draghi, ma una chiamata col garante Beppe Grillo avrebbe sbloccato l’impasse.

I precedenti

I voti su Rousseau hanno reso possibile la nascita degli altri due governi di cui il M5s è stato parte: a fine maggio 2018 è arrivato il via libera al Conte I, così come a settembre 2019 quello al Conte II. Nella prima occasione avevano votato 44mila iscritti: il consenso verso la creazione della coalizione gialloverde (già certificata da un contratto di governo) supera il 90 per cento. La seconda volta a esprimersi sono quasi 80mila persone. Stavolta i voti a favore del Conte II sfiorano l’8o per cento. È febbraio 2019 quando si tiene un altro voto complicato nella vita del Movimento: quello sulla vicenda Diciotti, che coinvolge l’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini. Per decidere come comportarsi in aula, i vertici formulano un quesito quantomeno contorto, in cui per votare Sì bisognava dare la risposta No. Arriva a ironizzare perfino il garante: «Siamo tra comma 22 e la sindrome di Procuste», scrive su Twitter Beppe Grillo. Alla fine, a votare contro l’autorizzazione a procedere è il 59 per cento dei votanti. Oltre alle periodiche consultazioni per la selezione dei candidati alle elezioni, sono stati votati anche i membri della struttura interna (come nel caso dei facilitatori, i coordinatori del Movimento).

Voti confermativi, esattamente come quello su Luigi Di Maio rieletto capo politico a maggio 2019: unico candidato, raccoglie l’80 per cento dei consensi (pari a 45mila voti contro gli 11mila che votano contro il ministro degli Esteri).

A settembre 2019 arriva il via libera alla proposta del Movimento di presentarsi alle regionali umbre all’interno del cosiddetto “patto civico” con le altre forze di maggioranza: un tentativo di lancio dell’alleanza strutturale che accontenta solo il 60 per cento dei votanti.

Appena due mesi dopo una nuova consultazione che chiama gli iscritti a decidere sulla “pausa elettorale” proposta da Di Maio per le regionali di Emilia-Romagna e Calabria sconfessa i vertici: gli attivisti votano per correre, per quanto da soli.

L’ultimo appuntamento con Rousseau doveva essere proprio questa settimana: gli iscritti si sono espressi sulle modifiche allo statuto del Movimento decise durante gli Stati generali di fine 2020. Per esempio, si è votato per la creazione di un organo collegiale che andrà a sostituire la figura del capo politico.

Le polemiche più recenti

Ad agitare le acque negli ultimi giorni è stata la votazione sul nascituro governo Draghi, indetta e rimandata nel giro di due giorni: un’accelerazione voluta soprattutto da Davide Casaleggio, presidente di Rousseau, decisa secondo quanto riferisce una fonte del M5s insieme ad Alessandro Di Battista, figura di punta della fronda anti-Draghi. Il quesito secondo la fonte era perfino già stato scritto dallo stesso Casaleggio e l’indizione del voto, permessa secondo statuto solo a garante o capo politico, era arrivata da Crimi per porsi in maniera conciliante nei confronti di Di Battista e dei suoi seguaci.

Una decisione non gradita allo stesso Grillo, che intervenendo in video ha proposto martedì la sospensione poi certificata da Crimi. Il post dell’«Elevato» arriva nel mezzo di un incontro Zoom degli anti-Draghi, quasi un migliaio di partecipanti, attivisti e parlamentari, che arrivano a classificare le parole di Grillo come «imbarazzanti» ed elencano tutte le ragioni per cui il governo Draghi non s’ha da fare.

Con il rinvio, la fiducia dei critici nel Movimento e in Rousseau si è andata a incrinare ancora un po’ di più: «Requiem per la democrazia diretta» scrive ieri mattina su Facebook Mattia Crucioli, uno dei senatori più ostili a un esecutivo dell’ex presidente Bce. «Vengono fatte scelte non imparziali, che gettano una luce fosca anche sul resto delle cose», dice. Il parlamentare è particolarmente critico nei confronti della formulazione del quesito: «Se sarà scritto in base alle parole di Draghi, sarà difficile non trovare qualche cosa di condivisibile nel suo discorso. Quel che però conta sono i fatti alle sue spalle e la maggioranza che lo sosterrà: la domanda andrebbe posta su questi due elementi». Crucioli si dice a questo punto in dubbio se boicottare o no il voto, ma spiega che se vincesse il Sì al nuovo governo si rimetterebbe alla decisione degli attivisti.

Una scelta che potrebbe essere condivisa anche da molti altri parlamentari «ribelli». Lo stesso Di Battista nell’ultima intervista ha sostenuto l’idea di astenersi, una scelta condivisa anche da membri della fronda anti-Draghi come la senatrice Barbara Lezzi.

Se dunque alla fine il voto dovesse davvero determinare un via libera alla creazione del nuovo governo, anche i parlamentari più inquieti potrebbero raccoglierlo come alibi e, così, evitare la scissione dai governisti. Da un Movimento così spaccato, in ogni caso, tutti si tengono lontani. L’ultimo a confessarlo è Giuseppe Conte, che spiega di «non ambire a incarichi» nel M5s. Intanto, il paese aspetta.

 

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