La settimana in corso rappresenta uno snodo essenziale nella formazione del nuovo governo. Il 13 ottobre prossimo, infatti, si riuniranno per la prima volta le Camere, in conformità alla scadenza – «non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni» – prevista dalla Costituzione (art. 61).

Al termine delle procedure per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato, che potrebbero protrarsi per qualche giorno, con la necessità di più votazioni, il presidente della Repubblica avvierà le consultazioni per la formazione del nuovo governo.

Può essere utile chiarire a cosa servono le consultazioni e se sia possibile evitarle per velocizzare l’inizio dell’operatività dell’esecutivo o, comunque, adattarle alla situazione in atto.

La formazione del governo

L'art. 92 della Costituzione disciplina la formazione dell’esecutivo: «Il presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri». Da tale disposizione – che assegna al capo dello Stato il potere di nomina, senza ulteriori specificazioni, con una formula semplice e concisa - sembrerebbe che la formazione del governo non richieda un vero e proprio procedimento. Invece, nella prassi, l’iter della formazione è complesso ed articolato. Si distingue la fase delle consultazioni, da quella dell'incarico, fino a quella della nomina. Poi, il presidente del Consiglio e i Ministri devono prestare giuramento e presentarsi in Parlamento, entro dieci giorni, per ottenerne la fiducia (artt. 93 e 94 della Costituzione).

Le consultazioni

Nel corso delle consultazioni il presidente della Repubblica si confronta essenzialmente con i capi dei Gruppi parlamentari, i rappresentanti delle coalizioni e i presidenti delle Camere, ma di norma anche agli ex inquilini del Quirinale. Attraverso esse il capo dello Stato acquisisce informazioni e chiarimenti necessari al fine di affidare l’incarico a una persona che, dopo la nomina, possa ragionevolmente ottenere con il proprio governo la «fiducia delle Camere» (art. 94 Cost.).

Le consultazioni non sono previste dalla Costituzione, ma sono svolte per prassi costituzionale, trattandosi di un comportamento posto in essere costantemente nel tempo. Il fatto che tutti i presidenti della Repubblica vi ricorrano in occasione della formazione di ogni esecutivo dimostra che esse rappresentano in concreto un passaggio ineludibile nel procedimento che porta alla nomina del presidente del Consiglio.

Tuttavia, non essendone codificato il contenuto, il Quirinale può adattarle alle necessità connesse alla situazione politica (ad esempio, non consultando necessariamente gli stessi soggetti o non seguendo sempre il medesimo ordine). Per cui, se dalle elezioni non esce una chiara maggioranza, nelle consultazioni il Capo dello Stato svolge anche un’attività di mediazione tra forze politiche, affinché si arrivi a un esecutivo in grado di ottenere la fiducia parlamentare. Qualora, invece, una coalizione vinca con un’ampia maggioranza e indichi un nominativo come presidente del Consiglio, il ruolo del capo dello Stato è molto meno intenso, ai fini della formazione del nuovo governo.

In questo secondo caso, per abbreviare i tempi, specie in un momento di crisi qual è quello attuale, il presidente della Repubblica potrebbe evitare le consultazioni, conferendo direttamente l’incarico alla persona prevista dalla coalizione vincitrice?

Il valore delle consultazioni

Se il fatto che dalle elezioni emerga un’inequivocabile maggioranza, la quale individua una persona come vertice dell’esecutivo, significasse che il capo dello Stato debba limitarsi a ratificare il risultato elettorale e incaricare la persona indicata, vi sarebbe una sorta di elezione diretta del presidente del Consiglio da parte dei cittadini. Sarebbe così distorto il modello di democrazia del nostro ordinamento.

Pertanto, condizioni quali una vittoria elettorale netta e accordi predefiniti tra i soggetti della coalizione circa il futuro vertice dell’esecutivo agevolano l’attività del Quirinale, ma le prerogative costituzionali del capo dello Stato restano impregiudicate.

A ciò si aggiunga che il presidente della Repubblica, salvo un paio di casi, ha sempre effettuato le consultazioni, anche quando queste potevano sembrare inutili, senza procedere direttamente alla nomina del presidente del Consiglio. Perciò, secondo un’autorevole dottrina, esse sono ormai una vera e propria consuetudine costituzionale, cioè un passaggio non solo ineludibile, ma in qualche modo cogente.

I tempi delle consultazioni

La regola delle consultazioni in vista della formazione di un nuovo governo ha avuto due eccezioni. Per il primo dell’epoca repubblicana, vale a dire il quinto governo De Gasperi, maggio 1948, «non si ebbero consultazioni regolari, ma solo alcuni incontri tra il presidente della Repubblica» – Luigi Einaudi – «ed il presidente del Consiglio, leader del partito che allora deteneva la maggioranza assoluta in Parlamento» (L. Paladin).

Sempre Einaudi, nell’estate del ’53, affidò l’incarico a Giuseppe Pella - per un governo definito informalmente “di transizione”, finalizzato all’approvazione della legge di bilancio – senza procedere a consultazioni. «La Costituzione non parla di consultazioni: si affida al criterio del capo dello Stato. E il mio criterio mi dice che in questo momento quello che è necessario è un governo», disse il presidente (V. Gorresio). In seguito le consultazioni sono sempre state effettuate per ogni nuovo esecutivo, e anche per questo si sostiene siano ormai divenute una consuetudine costituzionale.

Come spiega Youtrend, nelle precedenti 18 legislature dell’Italia repubblicana, tra la data di elezione e il giuramento del governo sono passati in media 46 giorni, tempo in linea con quello di altri paesi europei. Uno dei governi che si insediò più velocemente fu quello guidato da Silvio Berlusconi nel 2001. Le elezioni si tennero il 13 maggio di quell’anno, le consultazioni iniziarono il 7 giugno, il nuovo governo giurò l’11 giugno. Quindi, servì comunque circa un mese.

Nelle elezioni del 25 settembre scorso c’è stata una netta vittoria della coalizione di centrodestra, com’è noto. In questi giorni ferve un lavoro sotterraneo per l’individuazione dei prossimi ministri, nonostante Giorgia Meloni, che probabilmente otterrà l’incarico da Sergio Mattarella, non l’abbia ancora ricevuto. Insomma, si procede in modo informale per abbreviare i tempi dei passaggi formali, i quali tuttavia restano importanti: come ricorda Michele Ainis, citando Hans Kelsen, la democrazia «è forma che conforma il nostro vivere civile».

Sostenere che la procedura delle consultazioni, più che “forma”, sarebbe una formalità da parte del presidente della Repubblica, significherebbe dimenticare che quest’ultimo non si limita mai a svolgere un ruolo notarile, nemmeno riguardo alla nomina dei ministri. E l’ha già dimostrato in diverse occasioni, inducendo a indicare una persona diversa da quella inizialmente individuata dal presidente del Consiglio incaricato. Meglio tenerne conto, anche nel fissare date d’inizio per l’operatività del nuovo governo.

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