I due contendenti per la guida del Movimento 5 stelle, Giuseppe Conte e Luigi Di Maio, lavorano per ampliare ciascuno il proprio consenso interno, ma le possibilità che il secondo, il ministro degli Esteri, riprenda in mano la guida del partito sembrano assottigliarsi di giorno in giorno. Conte ha dalla sua parte uno strumento fondamentale da utilizzare per frenare l’ascesa di Di Maio: lo statuto interno. Senza un intervento del garante Beppe Grillo, le possibilità di sfiduciarlo sono pressoché nulle.

Ieri Conte ha ribadito la sua volontà di voler lasciar decidere agli iscritti sull’inopportunità del “sabotaggio” a cui avrebbe lavorato Di Maio riguardo alla candidatura al Quirinale della capo dei servizi segreti Elisabetta Belloni: «Ci deve essere una discussione aperta, le modalità le stabiliremo», ha detto.

L’ex premier al momento non ha specificato le modalità con cui la questione verrà posta al giudizio degli iscritti. In ogni caso, se venissero davvero coinvolti per Di Maio la situazione si metterebbe male. Secondo diverse fonti parlamentari, che negli ultimi giorni hanno raccolto umori a livello territoriale, e stando anche alle critiche arrivate tramite sui social nei confronti di Di Maio, gli iscritti appoggerebbero le scelte dell’ex premier e non quelle del ministro degli Esteri.

Rimuovere dal suo ruolo Conte è molto difficile. La ragione è facile da intuire: la figura del presidente è stata cucita su misura all’”avvocato del popolo” l’estate scorsa, e lo ha fatto proprio Conte essendo l’estensore del testo in questione.

Le regole

Nel testo è previsto che «il presidente può essere sfiduciato con delibera assunta all’unanimità dai componente del comitato di garanzia e/o dal garante, ratificata da una consultazione in rete degli iscritti».

Il comitato di garanzia è l’organo che secondo lo statuto «sovrintende alla corretta applicazione delle disposizioni dello statuto». A presiederlo in questo momento c’è proprio Di Maio, mentre gli altri due membri sono Virginia Raggi e Roberto Fico. L’ex sindaca di Roma, che nei giorni scorsi ha incontrato Di Maio alla Farnesina, condivide con il ministro un pessimo rapporto con Conte, il suo voto però da solo non basterebbe.

Una sfiducia è difficile da ottenere: oltre al fatto che il presidente della Camera Fico ormai da tempo ha assunto un ruolo di terzietà rispetto agli scontri interni al Movimento, servirebbe comunque la ratifica da parte degli iscritti, più ostili che amichevoli nei confronti del ministro degli Esteri.

Anche un intervento del garante è da escludere: Beppe Grillo, fin dalla candidatura di Belloni, si è schierato dalla parte di Conte. Lo statuto prevede anche le conseguenze di un possibile voto degli iscritti contro la ratifica: «Nell’ipotesi in cui gli iscritti non confermino la sfiducia al presidente proposta dal garante o dal comitato di garanzia, qualora proposto dal comitato di garanzia quest’ultimo organo decade, e in ogni caso la mozione di sfiducia non può essere riproposta prima del trascorrere di dodici mesi dalla votazione, salvo che non sia proposta congiuntamente dal Garante e dal Comitato di garanzia all’unanimità».

Quindi, oltre a non raggiungere l’obiettivo, Di Maio rischierebbe anche di perdere il suo ruolo privilegiato all’interno della struttura del partito.

Gli strumenti di Conte

Mentre il ministro è in difficoltà, il presidente, oltre a chiamare in causa parlamentari e iscritti, potrebbe anche scegliere di chiedere una sanzione disciplinare nei suoi confronti.

Secondo la lettura di Conte, infatti, Di Maio ha disatteso le indicazioni dello statuto sabotando le sue trattative per la candidatura di Belloni: una motivazione sufficiente per segnalarlo al collegio dei probiviri, l’organo che gestisce, nell’universo Cinque stelle, le sanzioni disciplinari. Si tratta però di un processo piuttosto lungo e non privo di insidie: i tre membri del collegio sono la ministra Fabiana Dadone, Jacopo Berti e Riccardo Fraccaro, a sua volta minacciato di disposizioni a suo carico dopo che nei giorni della trattativa sull’elezione capo dello stato era filtrato che avesse trattato alle spalle di Conte con Matteo Salvini.

Se pure il collegio decidesse di dare luogo a procedere, ci sarebbe un lungo periodo di discussione delle memorie presentate dal soggetto sottoposto a procedimento disciplinare, in questo caso Di Maio. Una procedura decisamente troppo lunga, che difficilmente risolverebbe nel giro di poco i problemi di Conte.

Più facile proporre una delibera sul comportamento di Di Maio o sulla possibilità di ricandidatura per i parlamentari al terzo mandato: se come prevedibile gli iscritti votassero per la conservazione del vincolo dei due mandati, Di Maio e la maggior parte dei suoi a fine legislatura sarebbero fuori dai giochi.

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