C’eravamo tanto amati. La presentazione del libro di Roberto Speranza, Perché guariremo, che esce (di nuovo) per Solferino dopo essere stato ritirato frettolosamente nell’autunno del 2020 alla vigilia della seconda ondata del Covid, è un incontro tra due ex.

Tra due persone che, anche se non riescono a condividere un futuro, non possono fare a meno l’una dell’altra. I due amanti sono Pd e M5s, Elly Schlein e Giuseppe Conte, che si girano intorno e si ritrovano pubblicamente nello stesso posto dopo sei mesi, anche se l’ex premier ci tiene a sottolineare come i rapporti siano buoni e ci si senta spesso, anche quando i media non ne danno notizia. E mentre lo dice si gira spesso verso la segretaria, quasi a cercare un cenno d’assenso.

A provare a tenere insieme due strade sempre più divergenti ci prova l’ex ministro della Salute Speranza. Che lancia un paio di provocazioni: sulla Basilicata – dove Conte ha detto no ad Angelo Chiorazzo, il candidato che aveva proposto il Pd, vicinissimo a Speranza – e sulla risposta ambigua del leader del Movimento, che domenica sera, nel salotto di Fabio Fazio, non era riuscito a esprimere una preferenza tra Joe Biden e Donald Trump.

Più tardi Conte tenterà di fare marcia indietro segnalando comunque «maggiori similitudini» con Biden. Ma il ruolo di Speranza, amico stretto di Conte, è quello del pacificatore. «Si discute ma al fondo si sta assieme» dice l’ex ministro, che tira in ballo anche i suoi ex sottosegretari. Pierpaolo Sileri siede nel pubblico assieme a Sergio Costa, vicepresidente della Camera in quota M5s e ministro nel governo Conte I. Sono due dei pochi Cinque stelle presenti, per la verità.

A differenza del Pd, che si è mobilitato al gran completo per riempire la sala della regina della Camera: ci sono Dario Franceschini e Massimo D’Alema, ma anche Pier Luigi Bersani, mentre compare a metà evento – ma prima del primo intervento della segretaria – Andrea Orlando. I parlamentari in sala sono parecchi: da Giuseppe Provenzano alla capogruppo Chiara Braga, a Susanna Camusso, Enzo Amendola, Gianni Cuperlo e Federico Fornaro.

La battaglia di Conte

Se è vero che in amore vince chi fugge, a rincorrere sembra però essere la segretaria dem. Conte arriva per ultimo e concede ai giornalisti in attesa una battuta su Ilaria Salis, suo più recente cavallo di battaglia (Schlein parlerà alla fine spiegando che occorre sfruttare ogni strumento per farla rientrare e invitando Meloni a usare il suo rapporto con Orbán).

L’ex premier si mostra battagliero, attacca frontalmente Italia viva – vuole fare «nomi e cognomi» sulla fine del governo Conte II – e preannuncia che la commissione d’inchiesta sul Covid sarà un boomerang per chi l’ha voluta perché lui e i suoi riusciranno a tirare in ballo la gestione sanitaria delle regioni, l’aspetto che più preoccupa soprattutto la Lega.

Schlein per recuperare cita come prima cosa la sua esperienza da amministratrice in Emilia-Romagna, dove era vicepresidente allo scoppio della pandemia. È esperta di gestione delle emergenze, anzi delle «sindemie», cioè della combinazione della pandemia con altre crisi, come e quanto gli altri partecipanti alla presentazione, sembra il messaggio. La risposta su cosa ha portato a casa da quell’esperienza le dà il la per arrivare al tema portante della sua campagna elettorale per le elezioni europee, quello che ha evocato già all’ultimo premier time con un’interrogazione a Giorgia Meloni: la sanità.

Schlein lo declina in tutte le direzioni, dalle case di riposo (non bisogna far demagogia sulla situazione degli anziani con titoli fallaci dei Tg) alla salute mentale su cui il governo ha tagliato gli investimenti, passando per il lavoro di cura che ricade sulle spalle delle donne e le competenze da sfruttare meglio della pubblica amministrazione.

Schlein evoca una serie di argomenti su cui «sono convinta che possiamo trovare un accordo tra noi» spiega, rivolta a Conte. Cita anche il progetto condiviso passato del salario minimo – naufragato grazie a una manovra del governo – e quello, ancora in ballo, del congedo parentale. Ma l’armonia estetica – la cravatta dell’ex premier è appena una sfumatura più chiara del blazer vinaccia della segretaria – non si riflette in quella politica.

Conte fa l’elenco delle cose che non gli sono piaciute negli ultimi tempi, dal «Pd bellicista che non mi aspettavo» ai dem che «hanno rinnegato la transizione ecologica mettendoci un dito nell’occhio con l’inceneritore nel Lazio». Non ci sarà, dice, un «cartello elettorale» come quelli che organizza la destra, ma senza chiudere definitivamente a nulla, com’è nello stile dell’avvocato.

La discussione è ancora aperta, è il ragionamento, ma a scegliere se aderire o no, in definitiva, vuole essere l’avvocato del popolo. Com’è successo sul sit-in davanti alla Rai organizzato per il 7 febbraio, che Conte ha scelto di disertare. «Se in politica estera non abbiamo una visione comune, è meglio discutere ora. Se sulla transizione energetica non abbiamo visione comune, è meglio discuterne adesso. E non andare al governo e litigare poi», dice.

Però sui territori si tiene il potere di dare le carte. Quand’è la deadline per trovare un candidato comune alle regionali, chiede Lucia Annunziata. «The sooner the better», risponde Schlein. Il prima possibile. Per Conte è ancora tempo di verifiche, ma concede che non ci sono pregiudiziali. Pensa se c’erano.

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