In Vaticano c’è un documento che preoccupa i nostri servizi segreti, oltre agli uomini della gendarmeria di papa Francesco. Si tratta di un memoriale firmato dal funzionario della segreteria di Stato Vincenzo Mauriello e da poco depositato agli atti dell’inchiesta sulla compravendita del palazzo di Londra, l’indagine che ha travolto il cardinale Angelo Becciu e alcuni finanzieri italiani accusati di frode e truffa.

La posizione di Mauriello è stata archiviata a ottobre, dopo un resoconto difensivo. Ora la sua testimonianza è diventata pubblica, e apre uno squarcio sui rapporti che il Vaticano ha intessuto con alcuni agenti dell’Aisi, la nostra agenzia di sicurezza interna guidata dal 2015 dal generale Mario Parente.

Nel memoriale il funzionario chiarisce che lui, con l’acquisto di Sloane Avenue, non c’entra: «Le mie mansioni principali sono nel cerimoniale» spiega al promotore Alessandro Diddi a gennaio 2020, «e nei rapporti con la gendarmeria e altre forze dell’ordine italiane: non mi sono mai occupato di gestione di carattere finanziario».

Poi, in merito al alcune contestazioni fattegli da Diddi e dai gendarmi che indagavano sulla presunta truffa milionaria, spiega la natura di alcuni incontri che lui ed alti prelati - come il potente sostituto Edgar Peña Parra, fedelissimo del papa - hanno avuto con tre pezzi da novanta dell’Aisi: Andrea Tineri, la cui vicenda è stata già pubblicato da Panorama e AdnKronos, poi – rivela Domani – con il caporeparto Giuseppe Del Deo e lo stesso Parente.

I rapporti di Mauriello avevano allarmato gli investigatori vaticani durante l’indagine: attraverso l’analisi delle registrazioni delle telecamere di sicurezza i gendarmi avevano capito che gli agenti Tineri e Del Deo erano entrati in territorio vaticano a loro insaputa, ed erano andati a far visita a Peña Parra proprio attraverso la mediazione di Mauriello.

L’amico della spia

Il funzionario vaticano dà la sua versione dei fatti. «Tineri è un funzionario della presidenza del consiglio distaccato all’Aisi che conoscevo da due anni. Nel maggio del 2019 Peña Parra mi fa presente che sospettava che nei suoi uffici fossero applicati dei sistemi di controllo esterni, in quanto colloqui riservati erano risaputi all’esterno dopo breve tempo. E quindi mi chiese se conoscevo qualcuno che potesse effettuare una bonifica dei suoi ambienti».

In pratica Mauriello racconta che il sostituto, sospettando la presenza di cimici nei suoi uffici, gli chiede di trovare qualcuno che faccia pulizia. Senza però avvisare la gendarmeria, che in Vaticano è titolare per operazioni di questo tipo. Mauriello chiama dunque l’amico Tineri, agente straniero, che qualche tempo dopo, nell’estate 2019, incontra Peña Parra in persona. «Il sostituto gli fa presente le proprie esigenze chiedendogli nella circostanza di effettuare tale bonifica oltre a far presente la necessità di un jammer per proteggere le proprie comunicazioni». Il jammer è un dissuasore usato per impedire ai cellulari di ricevere o trasmettere onde radio, proteggendo la privacy nelle comunicazioni. Un apparecchio che, secondo Mauriello che cita «foto sul mio telefono ricevute direttamente dal sostituto», sarebbe poi stato poi effettivamente installato.

«Tineri spiegava a Peña Parra le difficoltà tecniche di individuare eventuali mezzi d’intercettazione ambientale ma si diceva disposto, in spirito di collaborazione istituzionale, a farlo. Cosa che fu fatta nei giorni successivi, senza esito», aggiunge Mauriello.

L’ex dirigente parla nel memoriale anche di un secondo incontro. Siamo a luglio del 2019. Al Dis, il dipartimento delle informazioni per la sicurezza, siede Gennaro Vecchione. Autorità delegata ai servizi è l’allora premier Giuseppe Conte. Stavolta insieme a Tineri c’è un caporeparto dell’Aisi molto influente, Giuseppe Del Deo, numero uno dell’intelligence economico finanziaria dell’agenzia. Un ex capitano dell’esercito che dai tempi della direzione di Giorgio Piccirillo gestisce la cassa e i fondi riservati dell’Aisi (solo con il generale Arturo Esposito le deleghe vennero affidate ad altri soggetti dell’ufficio della direzione).

«I dossier del sostituto»

È Tineri, dice il funzionario vaticano oggi in pensione, a chiedergli «se il suo diretto superiore avesse potuto avere un incontro con Peña Parra, anche per dare una veste istituzionale al lavoro che aveva appena svolto... Gli ospiti vennero accompagnati nella sala di ricevimento di sua eccellenza e io mi accomodai all’esterno, non ritenendo opportuno assistere al colloquio».

Quando i due agenti Aisi escono dalla sala, Mauriello li accompagna verso l’uscita dello stato. «Mi fu riferito, per grandi linee, che erano stati ringraziati per la collaborazione offerta e che Peña Parra, unitamente a monsignor Mauro Carlino (segretario prima di Becciu poi del nuovo sostituto, ndr) aveva chiesto loro se fosse stato possibile assumere, in via confidenziale, informazioni su alcuni personaggi che stavano tentando di introdursi nelle strutture economiche della Santa Sede, con intenti malevoli».

Nell’agosto del 2019 l’inchiesta della gendarmeria sulla presunta truffa orchestrata da Becciu e da finanzieri italiani come Raffaele Mincione, Gianluigi Torzi ed Enrico Crasso è nel pieno, e che le perquisizioni in Segreteria di Stato saranno fatte di lì a qualche settimana. Possibile che Peña Parra chieda – saltando l’interlocuzione della gendarmeria, l’unica preposta a scambi con intelligence straniere - ai nostri servizi segreti dossier su qualcuno degli indagati?

Mauriello non indica i nomi oggetto presunti dossieraggi ordinati dal sostituto («non era materia di mia competenza»), ma racconta che il risultato dell’istruttoria di Del Deo e Tineri arriva «verso la fine di agosto. Tineri mi chiamò per dirmi che avevano svolto una prima ricognizione, e che, se era possibile, desideravano condividere quanto appreso con monsignor sostituto».

L’incontro avviene come sempre nello studio di Peña Parra, e viene preceduto da un piccolo inconveniente che però permetterà poi ai gendarmi di scoprire le visite organizzate a loro insaputa: il “capo posta” (sorta di portiere degli ingressi della città santa) invece di fare entrare senza formalità i due agenti segreti, chiede stavolta nomi e documenti, che i due ovviamente si rifiutano di consegnare. Solo una telefonata di Mauriello al guardiano sblocca l’impasse.

Il terzo incontro finisce dopo pochi minuti, e anche stavolta Mauriello non vi partecipa. «All’uscita sottolineo ancora che uno dei due funzionari italiani aveva tra le mani la stessa busta bianca che aveva all’ingresso, e che conteneva la relazione presumibilmente mostrata al sostituto». Una busta bianca individuata dai gendarmi grazie allo studio delle immagini di sicurezza.

Rendez-vous

Mauriello dice pure che Tineri in quei giorni veniva più volte compulsato al telefono da Carlino perché temeva che il suo cellulare fosse intercettato, chiedendo all’agente consigli «sul da farsi». Il timore era fondato: Carlino era ascoltato da tempo dagli uomini dei promotori di giustizia. «Tineri gli spiegò l’opportunità di acquistare un nuovo apparecchio», spiega Mauriello nel memoriale.

Il funzionario cita infine un quarto colloquio, avvenuto il 24 settembre 2019, a cui partecipò anche Parente. «Tineri mi fece presente che il direttore dell’Aisi, che era a conoscenza della collaborazione da loro prestata alla Segreteria di Stato, desiderava avere un breve incontro con il sostituto, come già avvenuto con i suoi predecessori e con altre cariche della Santa Sede». Parente arriva con i soliti Del Deo e Tineri.

Dopo un breve colloquio riservato tra Peña Parra e il capo dell’Aisi, Mauriello e gli agenti italiani furono invitati a unirsi ai due superiori. «Si parlò genericamente di collaborazione tra le istituzioni, e tra le altre cose, uno dei funzionari dell’Aisi accennò al fatto che stavano eseguendo i controlli sui nominativi segnalati (che non furono esplicitamente enunciati) ma che era necessario mettere in atto una strategia accorta in quanto il mondo della finanza è estremamente pericoloso e sensibile».

In pratica, Mauriello afferma che Peña Parra, di fatto ministro dell’Interno del Vaticano, avrebbe chiesto ai servizi italiani dossier informativi su soggetti pericolosi (Mincione? Torzi?), e che l’Aisi gli avrebbe in qualche modo dato una mano.

La versione dell’Aisi

Fonti dell’Aisi sentite da Domani non negano gli incontri tra i vertici vaticani e Del Deo e Tineri, che ufficialmente lavora nel reparto di cybersicurezza guidato da Massimo Aimola, ma evidenziano che le ricostruzioni di Mauriello sarebbero solo fantasie. «La bonifica di presunte cimici non è mai stata fatta, una cosa ridicola solo a dirsi, anche perché servirebbe un camion pieno di attrezzature e sei dei nostri uomini per uffici così grandi. Il jammer? Mai montato da noi, al cento per cento».

Un misunderstending forse dovuto al fatto che Tineri avrebbe effettivamente consigliato ai sacerdoti l’acquisto di un dissuasore, ma solo mandando una foto di un prodotto in commercio via Whatsapp a Mauriello. «Forse l’oggetto è stato poi comprato in autonomia da Peña Parra» ipotizzano dall’agenzia.

Per quanto riguarda l’incontro con Parente, la versione dell’Aisi è opposta: «È stato Peña Parra a chiedere un incontro con il nostro direttore, e non il contrario. Si tratta di normali interlocuzioni istituzionali». Anche i dossier di cui si sarebbero occupati gli agenti dell’Aisi non esisterebbero: Del Deo – da esperto di economia – avrebbe dato a Peña Parra «solo consigli generici sulle trappole della finanza».

I punti di vista sono assai diversi, e nel caso l’Aisi dicesse la verità bisognerebbe capire per quali motivi Mauriello si è inventato una ricostruzione fasulla. Di sicuro, la vicenda – che dimostra il grado di tensione Oltretevere, con preti diventati esperti in apparecchi anti-cimici – ha irritato sia la gendarmeria sia i nostri servizi di sicurezza. I primi credono infatti che il loro superiore Peña Parra e i colleghi dell’Aisi (i gendarmi hanno anche la delega all’intelligence dello stato di Dio) li abbiano di fatto scavalcati, creando qualche problema alla loro indagine.

Mentre il nostro comparto di sicurezza è basito dall’evidenza che vicende riservate «ma del tutto banali» che coinvolgono i loro effettivi siano finite in un memoriale «pieno di imprecisioni». E depositato per volontà dei magistrati del papa negli atti pubblici del processo più mediatico della storia recente del Vaticano.

 

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