Mario Draghi vi manderà a casa, votatemi. Così si candida al Quirinale Silvio Berlusconi. I suoi escono dalla maggioranza se il premier se ne va, così si va al voto. Per una meta così ambiziosa non basta Vittorio Sgarbi telefonista.

Perché la mossa, quali le conseguenze? Sul perché, l’uomo solletica gli istinti più bassi: ieri dava del «coglione» a chi vota un partito che avrebbe alzato le tasse, oggi dice ai parlamentari timorosi di esser mandati a casa anzitempo, «io vi assicuro un altro anno abbondante in parlamento».

Quello nuovo avrà un terzo di membri in meno, non è nobile ma si capisce che tanti, senz’arte né parte, temano la fine anticipata di prebende lunari; la nobiltà d’animo loro mancante l’ha Berlusconi, e ne culla i sogni. A chi ha pagato tre milioni a Sergio De Gregorio (due terzi in nero) per far cadere il governo Prodi II, pare un’offerta signorile (a spese dei contribuenti).ù

Non si sa come potrebbe onorare l’impegno. Si rende ostaggio della fortuna chi ci confida. Il siluro dei 101 a Romano Prodi valga da monito. Fratelli d’Italia anela al voto e i leghisti filo Draghi forse non si lanceranno nell’abisso come lemming per farlo traslocare in un’altra dorata residenza.

Se avvenisse, e siamo alle conseguenze, è probabile che Draghi esca del tutto dalla comune. Sarebbe così chiaro quant’è autolesionistica, oltre che cinica e strumentale, la mossa di chi, nella stessa frase, lo ritiene insostituibile al governo, ma inadatto alla presidenza della Repubblica.

Disse Giovanni Giolitti, un grande italiano: «Le leggi devono tener conto anche dei difetti di un paese. Un sarto che deve tagliare un abito per un gobbo deve fare la gobba anche all’abito».

Berlusconi, monco del giolittiano senso dello stato, sa cucirci addosso l’abito che non solo si adatta ai nostri vizi ma li accresce, perfino li nobilita celandoli. Ci fa sentire a nostro agio, ci toglie i sensi di colpa, smorza la tensione all’incivilimento. La sua abilità nel vellicare gli istinti antisociali non ha nulla da spartire con chi per Gaetano Salvemini fu «ministro della malavita».

Nei giorni scorsi Domani ha scritto che l’eventuale ascesa al Quirinale, e alla presidenza del Consiglio superiore della magistratura, dell’avvocata Paola Severino solleverebbe gravi problemi, legati al suo ruolo di difensore di clienti eccellenti in importanti processi. Problemi che sarebbero fuscelli se paragonati alla trave di un Berlusconi, spregiudicato ma pregiudicato evasore fiscale e corruttore, occhiuto custode dei propri interessi da premier.

È meglio eleggere subito il nuovo presidente, poi i rischi cresceranno troppo. Se egli vincesse, da tutto il mondo la commiserazione, più che la condanna, calerebbe sull’Italia, vittima di un vanitoso miliardario teso a sbianchettare le tante macchie del suo passato. Se invece la strategia fallirà, da realista amante dei colpi di scena, a compenso della magnanima rinuncia vorrà scegliere egli stesso il premier. Il nome ce l’ha nella manica.

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