I posizionamenti dei partiti in vista delle elezioni per il Quirinale di febbraio 2021 sono fluidi. Cambiano a seconda delle settimane, vengono influenzati dalle interviste pubbliche e dalle conversazioni private e sono diversi a seconda di chi è l’interlocutore. La domanda che si pongono tutti è quella che meno ha risposte: che cosa vuole fare Mario Draghi? Il presidente del consiglio intanto governa incontrastato e silenzioso, non smentisce nè conferma alcun che e, nei colloqui informali, si limita a una frase che dice e non dice: «Deciderò da solo, più avanti». Nel frattempo, le forze politiche della sua maggioranza costruiscono e smontano scenari possibili, a seconda di questa variabile.

Draghi rimane al governo

L’ipotesi per ora più accreditata è che Draghi scelga la via prudente di rimanere alla guida dell’esecutivo. Questo gli porterebbe due vantaggi: un governo che durerà fino al 2023, tempo nel quale Draghi potrà completare lo sforzo degli investimenti dei fondi del Recovery e di conseguenza ritagliarsi uno spazio ancora più di leadership a livello europeo, ora che è finita l’era di Angela Merkel. Giusto in tempo per il 2024, quando terminerà il mandato di Ursula von der Leyen e lui potrà ambire al ruolo di presidente della Commissione europea. Se, invece di Bruxelles, preferisse continuare l’esperienza di governo, certamente sarebbe il candidato da battere alle elezioni 2023.

I partiti che sostengono una permanenza di Draghi a palazzo Chigi e lavorano al bis di Sergio Mattarella sono principalmente due. Il Partito democratico sa che, non spostando nessun tassello nell’organigramma politico, anche la posizione di segretario di Enrico Letta si cementificherebbe in modo definitivo. Inoltre, nessuno del gruppo parlamentare smania per correre alle urne, anzi: il Pd è l’architrave su cui poggia il governo e l’ambizione è quella di arrivare alla fine della legislatura con una situazione economica risollevata e il vento favorevole del successo contro il covid e contro la crisi.

Anche il Movimento 5 Stelle per ora è disposto a ragionare solo di un Mattarella bis: aprire all’ipotesi Draghi significa parlare di ritorno al voto e il partito – in pieno caos da ristrutturazione con il leader Giuseppe Conte – rieleggerebbe un parlamentare su tre. Tanto basta, per il gruppo parlamentare Cinque stelle.

Sulla stessa linea è anche Forza Italia: il partito è sempre più piccolo nei sondaggi e quindi non vuole sentir parlare di voto anticipato, ma in parlamento ha una nutrita delegazione di 127 parlamentari, senza alcuna intenzione di tornare a casa prima del tempo. Gli azzurri sanno di essere determinanti per l’elezione di qualsiasi presidente e, sfumate le candidature di Draghi e Mattarella, alla quarta votazione saranno necessari per individuare un terzo nome.

Draghi va al Quirinale

Se invece Draghi decidesse di volersi trasferire al Colle, in suo sostegno arriverebbe sicuramente Fratelli d’Italia. Lo scenario sarebbe inedito, visto che quello di Giorgia Meloni è l’unico partito d’opposizione al governo Draghi, tuttavia prevarrebbe l’interesse ad un ritorno immediato al voto. In realtà, Meloni sembra non credere all’ipotesi di Draghi in campo e quindi parla solo della necessità di un terzo nome, diverso da quello di Mattarella.

Determinante, allora, sarebbe l’appoggio della Lega. Salvini da tempo ripete di voler tornare al voto, tuttavia a stroncare l’ipotesi è intervenuta l’intervista del ministro Giancarlo Giorgetti alla Stampa. Il “governista” della Lega ha mandato messaggi contraddittori: «L’interesse del Paese è che Draghi vada subito al Quirinale, che si facciano subito le elezioni e che governi chi vince», dice, ipotizzando un Draghi novello Charles De Gaulle. Poi però prospetta il disastro: con Draghi al Colle i soldi europei del Recovery verranno buttati via «oppure non li sapranno spendere». Tradotto: per la Lega di governo e dei consiglieri regionali – non del tutto sovrapponibile a quella dello stretto entourage di Matteo Salvini – la strada preferita è quella di un nome terzo. In questo modo gli equilibri verrebbero garantiti con un governo stabile, ma non si cederebbe al tentativo del Pd di cristallizzare la situazione con il Mattarella bis, possibile solo con l’accordo di tutti. Anche perchè, visto lo scenario recente di una brusca frenata della Lega alle amministrative, tornare al voto rischia di essere un azzardo sbagliato.

All’opposto, le amministrative potrebbero spingere il Pd verso l’ipotesi di elezioni anticipate e dunque di Draghi al Colle. Se il voto nelle città andasse bene oltre le aspettative, qualcuno tra i dem starebbe già pensando che ci siano le condizioni per tornare alle urne: «Un pericolo e un azzardo, che porterebbe al tracollo del centrosinistra», profetizza un deputato, preoccupato dalle voci interne anche di aree vicine al segretario.

La terza via

Tra i due estremi esiste infine una terza strada, prospettata in modo insistente soprattutto da ambienti economici vicini a Confindustria. Draghi ambisce al Colle, ma sa di non avere i voti in parlamento se la conseguenza è il ritorno alle urne. Per questo chiederà il sostegno ai partiti, garantendo che la legislatura continui con un premier di sua emanazione – la rosa di nomi comprende Enrico Giovannini, Marta Cartabia e Vittorio Colao – ma con una nuova maggioranza “Ursula”. Vale a dire simile a quella europea: dentro Pd, Movimento 5 Stelle, Italia Viva e Forza Italia; fuori Lega e Fratelli d’Italia. L’ipotesi è arrivata alle orecchie anche di Leu e Pd, che non sarebbero pregiudizialmente contrari, ma scettici sulla sua fattibilità. A mancare, infatti, sono due condizioni. La prima è il carisma di un regista in parlamento che sappia «stringere la mano a Berlusconi» per chiudere l’accordo, tenendo insieme anche i Cinque stelle. Nel caso dovrebbe essere qualcuno del Pd, ma una figura del genere non esiste. La seconda riguarda la legge elettorale: un nuovo patto di legislatura sarebbe possibile solo in cambio dell’approvazione di una nuova legge di tipo proporzionale, che rispecchi la frammentazione e favorisca le future alleanze. Invece, una parte del Pd è al lavoro per una legge di stampo maggioritario, che renderebbe automaticamente perdente in vista del voto avventurarsi in un anno di governo “Ursula”.

Tutti gli scenari hanno un unico punto certo: tutto dipende dalla volontà di Draghi, che deciderà solo sapendo come gestirne le conseguenze.

 

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