In Italia la sinistra regge. Ma è una magra consolazione, fra le macerie della socialdemocrazia europea. E con un voto, quello italiano, in cui si scolpisce il risultato di Giorgia Meloni, un’avanzata che sfiora il 30 per cento. e che da stanotte si presenta con il volto di una leader europea moderata, e persino “presentabile”, a paragone della slavina nera francese e tedesca. Per la sinistra europea può andare anche peggio: una coda ancora più pericolosa e velenosa può materializzarsi alle elezioni francesi convocate già ieri sera per il 30 giugno da un presidente Macron sotto shock per l’avanzata di Marine Le Pen.

La premier è fortissima

Fdi veleggia il 28,8 per cento, il Pd al 24, il tonfo dei Cinque stelle li riduce al 10 per cento, Forza Italia risale al 9,7 e cioè sopra la Lega, al 9,1. I rossoverdi saltano clamorosamente l’asticella del quorum, al 6,7. Stati uniti d’Europa e Azione non acciuffano il risultato. La notte è stata lunga.

Ma anche la giornata di domenica è stata lunghissima. Nel pomeriggio fra i dirigenti del Pd che prendono i treni per convergere a Roma si diffonde l’ottimismo. L’appuntamento al Nazareno è per le 22 e 30, i componenti della segreteria si vedono al terzo piano, nell’ufficio di Elly Schlein, per seguire lo scrutinio. I primi ad arrivare, con la leader, sono i due capigruppo di Camera e Senato, Chiara Braga e Francesco Boccia, il responsabile organizzazione Igor Taruffi e il tesoriere Michele Fina. Ma alle 23 il Nazareno è già affollato, come sempre quando c’è aria di vittoria. E quando la segretaria si presenta alle telecamere, in tanti si stringono per stare dentro la stessa inquadratura vincente.

Dalle città al voto arrivano, gli exit poll disegnano per il Pd e il centrosinistra dati più che confortanti, persino probabili vittorie al primo turno: Cagliari, Bergamo, Bari, non Firenze in cui Sara Funaro è comunque in testa; persino i dati che circolano su Perugia sono sorprendenti per la sinistra: Vittoria Ferdinandi sarebbe in testa e rischia di passare al primo turno.

Ma intanto il dato che pesa è quello delle europee: ed è una netta affermazione per il Pd. Per il Pd di Elly Schlein. Chiusa ogni discussione interna sulla sua segreteria, si apre ora la partita della nuova alleanza. Al tavolo del futuro sinistra lei siede a capotavola. 

Le due donne vincenti

Meloni e Schlein dunque  avranno vinto la loro scommessa. Stavolta la polarizzazione ha funzionato, a differenza delle politiche del 2022, dove senza successo aveva provato la sfida dirette Enrico Letta, allora segretario del Pd.

La premier consolida il suo partito, e stravince la partita personale: prende oltre due milioni di voti. Non è un record per la destra: nel 2019 Salvini ne prese tre, nel1999 Silvio Berlusconi fece anche meglio. I due alleati Forza Italia e Lega si sono contesi per tutta la notte il secondo posto sul podio: alla fine prevalgono gli azzurri, ma per un pugno di decimali. Comunque restano due nani a fianco di Biancaneve o, meglio, della Regina.

Per la Lega si aspetta il contraccolpo del risultato: Salvini nella notte fa capire che considera la sopravvivenza («Siamo vivi») un successo, e che l’operazione «nuovo Msi», voluta da Matteo Salvini, e la candidatura del generale Vannacci, è un successo.

Il governo comunque è solido. Meloni può persino puntare a mantenere la squadra dell’esecutivo com’è, senza rimpasto: ma al netto degli autogol in continua produzione da parte dei ministri (l’ultimo, il clamoroso che ha coinvolto il portavoce di Francesco Lollobrigida), e anche della sempre più traballante ministra del Turismo Daniela Santanché.

Schlein è arrivata

Da quest’altra parte, Elly Schlein ha vinto la sua scommessa quella a cui si prepara praticamente da quando è stata eletta alla guida del partito. Stravinto. E la segretaria è di fatto, almeno sulla carta, la federatrice di un potenziale campo delle opposizioni. La segretaria è la leader dei democratici italiani, ma anche una delle leader del socialismo europeo che non perde: si esaurisce, con uno scossone, la socialdemocrazia sull’asse franco-tedesco, la cultura politica protagonista delle grandi conquiste sociali del Novecento. E si apre la possibilità di un “fronte del Sud”, sotto la leadership carismatica di Pedro Sanchez: il leader a cui, non è un mistero, il gruppo dirigente schleiniano si ispira ed è più vicino, come si è visto sul palco del congresso del Pse a Roma, lo scorso marzo.

Resta l’incognita della tenuta di nervi del presidente dei Cinque stelle. Per lui e per il partito plasmato a sua immagine e somiglianza si delinea una sconfitta pesante. Si sgretola l’anomalia di un aggregato instabile, in irresistibile discesa, che tiene in ostaggio una parte dei voti delle sinistra nel paese. E forse non è un caso che il minimo storico del movimento negli ultimi dieci anni si registri proprio nella competizione in cui la sua natura ibrida è più evidente: non ha mai avuto né ancora trovato casa tra i gruppi del parlamento europeo. L'opa lanciata da Conte sul Pd, e sulla sinistra, stavolta agitando la bandiera del pacifismo (che pure ha premiato altrove, a sinistra e a destra, è fallita. Del campo largo, per questo, non v’è certezza. Di sicuro c’è solo che dopo ora i rapporti di forza dentro l’opposizione sono chiari, e netti. E il ruolo di «punto di riferimento dei progressisti italiani» torna a chi guida il Pd.

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