La Lega ha chiuso le europee con il 9,1 per cento dei consensi: sulla carta un risultato leggermente migliore rispetto all’8,8 per cento delle politiche ma la percentuale si è gonfiata come effetto dell’astensionismo visto che, in numeri assoluti, la Lega porta a casa 400 mila voti in meno rispetto al 2022.

I numeri, quindi, aprono il processo interno al segretario Matteo Salvini. «Ci davano per morti, siamo vivi e vivaci», ha commentato nella notte, ma la realtà sembra un’altra.

Il partito, infatti, è stato superato in volata da Forza Italia al 9,7 per cento: decimali, ma sufficienti a invertire i rapporti di forza rispetto alle politiche, con un sorpasso atteso dai pronostici ma comunque doloroso.

Il segretario, inoltre, aveva promesso la doppia cifra come soglia psicologica e il risultato non è arrivato.

Così la Lega scivola ad essere il fanalino di coda della coalizione di governo, confinata in Europa con Identità e Democrazia. 

Tutti i leader di centrodestra hanno sempre ripetuto che non ci saranno effetti nè sulla tenuta del governo nè sulla sua composizione – dove la Lega conta più ministri di Forza Italia – tuttavia l’onda lunga delle europee peserà certamente nei rapporti di forza al tavolo.

In questi casi, la storia ha insegnato che la tendenza di Salvini è quella di spostarsi su posizioni ancora più estreme e di giocare il ruolo dell’opposizione al suo stesso governo. Se così fosse, la legge di Bilancio del prossimo anno potrebbe essere il prossimo terreno di scontro su cui Meloni dovrà fare i conti con un avversario interno.

L’incognita riguarda anche il futuro di Salvini come segretario: il risultato non è la catastrofe annunciata grazie all’effetto Vannacci. Sarà necessario capire se questo basterà per lasciarlo a via Bellerio, dove ormai da mesi cova il malessere del Nord, e un magro 9 per cento non basterà a calmarlo.

«Comunque vada confermo che ci saranno a livello locale, entro l'estate, tutti i congressi regionali che ancora mancano ed entro l'autunno anche il congresso federale», ha detto il segretario, confermando che la resa dei conti si avvicina.

Nelle circoscrizioni

Analizzando il voto nelle circoscrizioni, il risultato è quello di un partito ancora a trazione settentrionale, anche se i fasti del passato sono lontani, soprattutto quelli delle ultime europee quando la Lega arrivò al 35 per cento.

Nel Nord-Ovest il partito si ferma all’11,9 per cento, nel Nord-Est non supera il 10,1 per cento. Al Centro, Sud e Isole, invece, si ferma al 7 per cento.

Il caso Vannacci

Alla fine, l’effetto della candidatura del controverso generale Roberto Vannacci è arrivato e ha tenuto a galla il partito. Vannacci, infatti, è stato il candidato più votato in quasi tutti i collegi – Isole escluse - facendo il pieno di preferenze: oltre 500mila in tutt’Italia, con il picco di 176mila nel collegio Nord-Ovest.

Un dato su cui la Lega dovrà riflettere, considerando che in tutt’Italia, in numeri assoluti, il partito ha di poco sfondato il tetto dei 2milioni di voti e il generale ha più che doppiato i leghisti eletti come secondi per numero di preferenze.

In altre parole, il generale ha portato circa 2 punti percentuali al partito di Salvini: esattamente come da pronostici. Senza di lui, che era un candidato indipendente, la Lega sarebbe scivolata sotto il 7 per cento.

«Approvato dal popolo alla faccia dei dubbiosi», è stato il commento di Salvini, «vuol dire che il tratto di strada che faremo insieme è approvato dagli elettori, sia leghisti che non perché immagino che in quel mezzo milione di voti ci siano iscritti e militanti della Lega, ma anche semplici cittadini che hanno condiviso la nostra proposta».

Certamente numeri del genere significano che i militanti, per disciplina di partito, hanno scelto di votare la proposta del segretario e dunque il boicottaggio interno non c’è stato. L’interrogativo, però, riguarda anche quanti voti il generale che ha chiesto di votarlo strizzando l’occhio alla X Mas abbia fatto perdere.

Le analisi

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