L’incoronato dal palco della Nuvola di Roma – un gioiello di architettura che strega gli ospiti europei – è il lussemburghese Nicholas Schimt, commissario europeo al lavoro, sarà il candidato presidente di tutti i partiti socialisti e socialdemocratici alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno. Ma la star del congresso è Elly Schlein, la padrona di casa, che davanti alla platea del congresso del Pse, il partito socialista europeo, sembra persino più a suo agio di quando sta davanti ai suoi. Fra i dirigenti c’è chi assicura che è un passo avanti verso la sua candidatura alle europee. Si presenta in tailleur pantalone fucsia, e stavolta non c’è da scomodare l’armicromista: è il colore della lotta contro la violenza maschile sulle donne. Spicca fra le grisaglie dei colleghi. È una scelta azzeccata: alle 11 e 30 dalla platea era scattata la contestazione, civile ma determinata, di tre attiviste contro lo stralcio da parte del Consiglio europeo delle norme sulla definizione di stupro come rapporto sessuale senza consenso dalla direttiva sulla violenza contro le donne approvata dall’europarlamento. I socialisti e democratici non si sono spesi molto, come la Francia di Macron anche la Germania di Scholz ha detto sì allo stralcio. Una scelta che aveva fatto infuriare la vicepresidente Pina Picierno, relatrice del provvedimento. Quando tocca Schlein, lei dà ragione alle femministe: «Non smettiamo di lottare per affermare che lo stupro è un reato comunitario e che la vita sessuale deve avvenire solo sulla base dell’esplicito consenso».

«Non aprite le porte all’Ecr»

Tutti attaccano Giorgia Meloni, ma lei è l’unica leader ad affrontare il caso spinoso. Dal palco conclude i lavori passando dall’italiano all’inglese con naturalezza, si prende gli applausi della platea rivolgendosi da leader direttamente agli «amici del Ppe»: «Non aprite le porte all’Ecr», il partito della «destra estrema» – come lo definisce Schmit –, quello guidato da Meloni: «Davvero volete rinnegare i vostri valori?». Si contende l’applausometro solo con Pedro Sanchez, il presidente spagnolo, campione di richieste di selfie – sia consentito un dettaglio di cronaca, Sanchez è così bello e ha un sorriso da cinema che non sembra un politico; con lui in mattinata si è intrattenuta per un colloquio riservato e «affettuoso», riferiscono i suoi.

Il Pd di Schlein e il Psoe di Sanchez sono oggi politicamente molto vicini: e al tavolo in cui si è trattato sui passaggi del «manifesto» dei socialisti europei approvato dall’assemblea, è stata Schlein, insieme al responsabile esteri Peppe Provenzano, a assicurare che fosse inserita la richiesta di «cessate il fuoco» in Medio Oriente e il riconoscimento dello Stato di Palestina, che per primo Sanchez aveva chiesto ai colleghi europei.

È «Elly» che tutti i leader europei citano: dal segretario Pse Giacomo Filibeck al presidente Stefan Lofven, al primo ministro rumeno Marcel Ciolacu e quello portoghese Antonio Costa, al cancelliere tedesco Olaf Scholz. Si congratulano in italiano per il voto sardo: «Ha dimostrato con le ultime elezioni in Sardegna che il fronte progressista unito può battere queste destre nazionaliste e antieuropee» (Filibeck), e che «il vento sta cambiando» (Schmit), «Brava» (Lofven).

Così i socialisti di tutta Europa ora conoscono la geografia nazionale: la Sardegna è la regione da cui può partire la riscossa continentale contro le destre, per la quale sono venuti tutti qui a dar manforte. Ma la segretaria Pd li avverte che in Italia c’è anche un’altra regione da tenere d’occhio: «Tra dieci giorni si voterà in Abruzzo, voglio esprimere da qui il nostro sostegno al candidato Luciano D’Amico, forza Luciano». Lei sarà lì il 6 e 7 marzo, di nuovo con Pierluigi Bersani, come aveva fatto in Sardegna.

Per la verità nel frattempo i dem compulsano le agenzie, perché da Cagliari arrivano notizie preoccupanti: a dieci giorni dal voto mancano ancora i risultati di 22 seggi, e con gli ultimi scrutini il distacco fra la vincente Alessandra Todde e il perdente Paolo Truzzu si sta riducendo, da 2600 voti a un migliaio. Gli staff di Pd e M5s assicurano che «nessun ribaltone è possibile». Il verdetto finale arriverà domani. Ma non sarà questo a rovinare la festa a Schlein e ai suoi, accorsi quasi al completo a un anno di distanza nella stessa Nuvola dove è stata proclamata segretaria dopo le primarie. A preoccupare sono altre regioni.

Il campo largo già ristretto

In Basilicata, dove si vota il 21 e 22 aprile, c’è maretta. In platea Igor Taruffi e Stefano Baruffi, responsabili organizzazione e enti locali, dalla Nuvola sono pronti a partire per Potenza dove alle 15 si riunisce la direzione del Pd regionale: i dem hanno lanciato l’imprenditore Angelo Chiorazzo, che però non va giù a una parte dei grillini. Di Chiorazzo è grande sponsor l’ex ministro Roberto Speranza, anche lui potentino e a sua volta considerato l’unico in grado di mettere insieme tutta la coalizione: ma il suo no alla corsa sembra irremovibile. Chiorazzo ieri era a Roma per incontrare papa Francesco: è fra gli organizzatori della Giornata mondiale dei bambini che sarà celebrata il 25 e 26 maggio in Vaticano. A sorpresa raggiunge la Nuvola, parla con Baruffi e si sente interrogare sulla disponibilità a un passo indietro. Rifiuta. Pazienza se mancheranno alla sua coalizione i Cinque stelle, è sicuro di imbarcare i centristi guidati da Marcello e Gianni Pittella, eminenze territoriali, incompatibili con Conte. A Potenza, dove nel frattempo è arrivato Speranza, il segretario regionale Giovanni Lettieri conferma la scelta di Chiorazzo e presenta un documento che chiede di «rifuggire dalle tentazioni di prove muscolari nel centrosinistra che avrebbero come unico risultato la sconfitta». Il campo largo non è una passeggiata di salute, neanche nel giorno dell’orgoglio socialista.

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