L’operazione che oggi Elly Schlein tenta a livello nazionale – spostare il Pd a sinistra – era già iniziata a Bologna: alle ultime comunali, con il sostegno di Schlein stessa, la leader di Coalizione civica Emily Clancy ha supportato l’attuale sindaco dem Matteo Lepore allo scopo di aprire il Pd ai movimenti e alla sinistra. Ora Clancy è passata dalla lotta al governo. Lei che battagliava contro Airbnb, oggi è vicesindaca con delega alla casa e affronta la “rivolta delle tende”.

Si è complimentata con gli studenti che protestano. Vuol fare l’anti Valditara?

Valditara dice falsità: i problemi non sono certo attribuibili ai sindaci di sinistra. Gli studenti fanno una battaglia giusta, di dignità: bisogna investire sul diritto all’abitare.

E il governo Meloni?

Lo stile si è visto da subito: già negli ultimi decenni i finanziamenti su contributo affitti e morosità incolpevole erano insufficienti, si trattava di risorse episodiche. Poi Meloni li ha del tutto tagliati.

L’università di Bologna è la più antica, e la città è universitaria per eccellenza. Esiste un’emergenza casa? Arriva al punto da compromettere il diritto allo studio?

La casa in questo momento è una priorità per la città. Non parlo di emergenza abitativa perché mi aspetto risposte strutturali.

Il punto fondamentale è che la mia città deve poter essere attrattiva, per chi studia, per chi lavora, e pure inclusiva: nessuna fascia dev’essere espulsa, tantomeno i ceti più fragili.

Quanto costa una camera, al mese, a Bologna? E quali numeri attestano che la situazione è critica?

Per una stanza, uno studente paga in media 400-450 euro, e a volte centinaia in più: anche 800. Cifre insostenibili. Prima della pandemia, erano arrivate meno di 2mila richieste di contributo per l’affitto; l’anno scorso si sono impennate a 10mila, quest’anno in Comune sono arrivate 11mila domande. Per quel che riguarda l’accesso alle case popolari, ci sono 5300 richieste che sono in graduatoria e restano da evadere.

Bisogna rivedere la strategia acchiappa-turisti? Negli ultimi anni la città ha attraversato fasi di brandizzazione e gentrificazione. C’è un problema anche di visione politica dello spazio pubblico?

Il problema nasce da diversi anni, il tema della casa era stato sottovalutato e mentre è aumentata la domanda – basti pensare che Bologna è l’ateneo che attira più studenti internazionali con un aumento del 40 per cento – intanto l’offerta non è cresciuta. Il turismo in sé può portare ricchezza, il punto è che va redistribuita, e il fenomeno va regolato. Insomma, il nodo è trovare un equilibrio così da garantire il diritto alla città.

Che ruolo ha Airbnb nel problema casa? Anche i grandi gruppi finanziari si sono messi a fare gli host in città.

È così, e i numeri ci raccontano che il crollo dei contratti a canone concordato va di pari passo con l’aumento degli annunci sulle piattaforme per l’affitto breve turistico: fino al 2016 i contratti a canone concordati erano circa 32mila, oggi sono scesi a 26mila. Negli stessi anni gli annunci su Airbnb sono passati da circa 800 agli oltre 4mila attuali.

Lei aveva fatto una battaglia su Airbnb, con tanto di istruttoria pubblica. Cosa è rimasto di quelle lotte, ora che governa la città?

Per il diritto all’abitare, abbiamo presentato un piano che Nomisma definisce «senza precedenti» per la molteplicità di strategie e risorse. Si tratta di un pacchetto da 200 milioni che risponde a una mancanza decennale di interventi. Molte proposte contenute nel piano per 10mila alloggi in 10 anni sono figlie proprio di quel percorso collettivo che avevamo avviato: penso all’agenzia sociale per l’affitto, e al nostro supporto alla proposta di regolare gli affitti turistici.

Ada Colau a Barcellona su Airbnb è intervenuta, ha provato a regolarne la presa sulla città. Coalizione civica, di cui lei è leader, si ispira al neomunicipalismo di Colau. Perché limitarsi a proporre?

Barcellona aveva la capacità legislativa per farlo. A noi serve una legge nazionale, per regolare le piattaforme. L’idea è che i comuni ad alta tensione abitativa come Bologna possano monitorare le licenze, equilibrando le presenze turistiche in base alle zone, e riorientandole verso un vero home sharing, secondo il principio: un proprietario, un appartamento. Abbiamo chiesto una legge sulle piattaforme, e anche di poter disporre degli immobili statali inutilizzati, nelle proposte condivise assieme ad altri dieci comuni, come Milano, Napoli, Firenze. Con questa alleanza municipalista mostriamo che i comuni devono e possono fare interventi radicali sulla casa, e chiamiamo il governo a fare la sua parte.

Il tema degli studenti in tenda è stato cavalcato dal Comune per sollecitare il governo: «Ci dia le caserme», è la chiamata all’azione di Lepore. Il tema non è nuovo. Non si rischia che fondi pubblici e spazi finiscano gestiti dai privati, con studentati privati?

L’utilizzo delle caserme e di altri spazi consente di valorizzare il patrimonio invece di consumare suolo ed emissioni. Riguardo ai 600 milioni di Pnrr, finora anche gli immobiliaristi hanno avuto accesso alle risorse, e hanno fatto studentati di lusso. Perché i Comuni possano davvero programmare le politiche per la casa, è fondamentale che non siano lasciati soli dal governo: gli sforzi straordinari non possono farli da soli. Quando avremo a disposizione l’ex caserma Stamoto, potremo realizzare alloggi di edilizia residenziale sociale e uno studentato pubblico, ad esempio.

«Le risorse del governo vanno ai privati»: l’allerta è di Elly Schlein. Alle comunali eravate dalla stessa parte, vi sentite ancora?

Certo. Con Schlein abbiamo condiviso tante battaglie tra le quali la fondazione di Coalizione civica; ora che guida il Pd, uno spostamento del partito a sinistra è un fatto politico positivo per tutto quel fronte – Pd, sinistra ecologista, 5 Stelle – che è l’unico capace di battere le destre.

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