A che punto siamo con la “cefisologia”? Il recente libro di Giuseppe Oddo e Riccardo Antoniani L’Italia nel petrolio (Feltrinelli), già recensito su queste pagine da Giorgio Meletti, porta nuovi e inediti tasselli sulla leggenda nera che da sempre avvolge la figura di uno dei personaggi più importanti, e al tempo stesso misteriosi, della Prima Repubblica.

Già sottufficiale dell’esercito regio, poi comandante partigiano (fu tra i liberatori della Val d’Ossola), Eugenio Cefis fu soprattutto braccio destro di Enrico Mattei fin dal dopoguerra, prendendone il posto alla guida dell’Eni dopo la sua morte nel 1962 nell’attentato di Bascapè, prima come vicepresidente esecutivo e dal ’67 presidente a tutti gli effetti, fino al 1971 quando transitò al vertice di Montedison, nel frattempo “scalata” proprio dall’Eni.

Il suo improvviso addio alla scena pubblica, quando nel 1977 lasciò Foro Bonaparte ritirandosi a vita privata in Svizzera, ha dato il via a una serie interminabile di congetture, ampliatesi a dismisura dopo la sua morte il 25 maggio 2004 a Lugano, che portano fino al delitto Pasolini: il suo Petrolio – lo scoprì il magistrato Vincenzo Calia indagando sulla morte di Mattei – contiene infatti interi brani tratti da un oscuro pamphlet pubblicato nel ’72 e subito scomparso, il rarissimo Questo è Cefis, firmato dall’inesistente Giorgio Steimetz. E le novità riguardano proprio quest’ultimo libro, pietra angolare della “cefisologia”.

I pamphlet

Antoniani, italianista alla Sorbonne Nouvelle di Parigi, è autore della seconda parte di L’Italia nel petrolio. Sono un’ottantina di pagine divise in due capitoli, “Petrolio sul fuoco” (con al centro l’opera postuma di Pier Paolo Pasolini) e “I pamphlet contro Cefis”. È qui che si apprendono dettagli definitivi su un’attribuzione, quella dello pseudonimo Steimetz, che già era apparsa: se ne parla nella riedizione di Questo è Cefis, curata nel 2010 dalla Effigie Edizioni di Giovanni Giovannetti, che in una nota citava appunto un lavoro di Antoniani «in corso di pubblicazione in Francia» (ma è appunto questo, dalla lunga gestazione) secondo cui «il libro fu scritto in realtà da Luigi Castoldi, un ex partigiano della Formazione Di Dio operativa nella Val d’Ossola di cui fu comandante Cefis».

L’indizio è stato poi ampiamente sviluppato dallo stesso Giovannetti, che lo scorso maggio ha pubblicato anche L’uragano Cefis, libro prima mai realmente esistito perché mai distribuito: databile attorno al 1975 e pure di autore ignoto (Fabrizio De Masi che lo firma è un altro pseudonimo), venne presumibilmente stampato in un pugno di copie, quelle che bastavano per sottoporne una a Cefis offrendogli di non pubblicarlo – si raccontava tra l’altro anche di una sua amante – in cambio di lauta ricompensa.

Non ex partigiano, ma giornalista di area Dc, il brianzolo Castoldi (scomparso 92enne lo scorso anno) è autore di numerosi libri. E da uno di questi, Santi senza candele del 1998 (che conteneva un capitolo dedicato proprio a Cefis), Giovannetti citava numerosi passaggi identici ad altri di L’uragano Cefis. E pure diverse similitudini con Questo è Cefis. La conferma arriva ora da Antoniani, che con Castoldi nel 2013 ebbe un colloquio telefonico, che si interruppe quando spuntò il nome di Marcello Dell’Utri.

Il giornalista non svelò fino in fondo il mistero, rimandando lo studioso a tale Giuseppe Volonté, direttore responsabile di quella Egr (Editrice Giornalisti Riuniti) che figurava come editore del libro mai distribuito. E appunto da Volonté, lo scorso maggio, è arrivata ad Antoniani la conferma che l’autore dei due pamphlet fu proprio Castoldi, di fatto proprietario della stessa Egr. Castoldi che a Dell’Utri aveva poi ceduto copia di entrambi, esposti a Milano dall’allora senatore di Forza Italia alla Mostra del libro antico del 2010.

La caccia al tesoro

Il racconto della “caccia al tesoro” di Antoniani è davvero avvincente e dà la misura di come la vertigine cefisiana-pasoliniana, con tutti i suoi complicati risvolti editoriali, filologici, giornalistici e politici, sia in grado di affascinare anche a distanza di tanti anni dai fatti. Non se ne diranno qui i tanti dettagli, per non togliere la sorpresa al lettore, se non uno: e cioè che ad Antoniani la prima “imbeccata” venne da Graziano Verzotto, il controverso esponente democristiano che tanto ebbe a che fare con la Sicilia, l’Eni, Mattei e Cefis.

Si tratta di quel Verzotto da sempre indicato come “committente” proprio di Questo è Cefis e indicato nel 2012, nella sentenza della Corte d’assise di Palermo sul caso di Mauro De Mauro, come figura altamente sospetta sia per quanto riguarda la scomparsa del giornalista palermitano sia per la morte di Mattei. Al punto che, se non fosse intervenuta nel frattempo la sua morte, la Corte lo avrebbe richiamato a deporre: non più però nelle vesti di testimone, bensì in quelle di imputato.

La fascinazione cefisiana riemerge comunque più volte in altre pagine del libro di Oddo e Antoniani. In particolare nell’intervista a Calia (la vedremo più avanti) che fa da cerniera tra le due parti del saggio, dove la prima – a cura del giornalista, che a lungo è stato inviato del Sole 24 Ore – è una approfondita e documentatissima ricostruzione delle parabole di Mattei e Cefis al comando dell’Eni e di Montedison. Si apprende ad esempio che fu proprio Cefis la fonte di Indro Montanelli in occasione di una clamorosa serie di suoi articoli del luglio 1962 sul Corriere della Sera, nei quali a Mattei faceva il pelo e contropelo. E si tratta di un notevole mattoncino nella costruzione del Cefis-uomo nero.

Si scopre però anche un profilo di Enrico Cuccia fin qui mai venuto alla luce: e siamo addirittura negli anni Cinquanta, quando il futuro presidente di Mediobanca (allora ne era amministratore delegato) mise in tutti i modi i bastoni tra le ruote alle ambizioni di Mattei, in chiave filoamericana per quanto riguarda le estrazioni di gas sul territorio nazionale ma anche filofrancese nella convulsa fase dell’indipendenza algerina, che – è noto – era ampiamente sostenuta proprio dall’Eni. Ed è un ruolo, quello di demiurgo e difensore a oltranza del capitale privato, che Cuccia una dozzina di anni dopo avrebbe fatto valere proprio contro le ambizioni di Cefis nella partita Montedison.

La versione di Calia

Enrico Mattei (LaPresse)

Si diceva però dell’intervista a Calia. Il quale, va ricordato, dimostrò con la sua inchiesta che quello di Bascapè non fu un incidente bensì un sabotaggio, chiedendo però l’archiviazione per l’impossibilità dopo tanti anni di individuare esecutori e mandanti. Quella richiesta al gip, poi accolta, si concludeva però con decine di pagine che sembravano indicare in Cefis il principale sospettato. Cefis che tuttavia, benché fosse ancora in vita, il magistrato mai convocò neppure per deporre in qualità di teste.

Oggi, nel colloquio con Oddo, Calia rilancia i suoi sospetti. Ad esempio, dicendosi convinto dell’attendibilità di un manoscritto allegato a un appunto del Sismi, che rinvenne nel corso della sua inchiesta, secondo cui Cefis fu il fondatore della loggia massonica P2: circostanza che non ha mai trovato il benché minimo riscontro. Poi, dubitando che Cefis il giorno della morte di Mattei (27 ottobre 1962) fosse in Africa, nella sua piantagione di caffè in Tanzania, nonostante la testimonianza della sua segretaria di allora.

È un sospetto che fa il paio con la fiducia che il magistrato dice di riporre in una deposizione resa da Vito Guarrasi (personaggio chiave di tante vicende siciliane) al processo di Palermo contro Giulio Andreotti, secondo cui Cefis era proprio a Palermo nei giorni dell’ultimo viaggio di Mattei in Sicilia, per discutere dell’estromissione dello stesso Guarrasi dal cda dell’Anic di Gela. Che però risale al 1960. E senza dimenticare che Cefis nei primi mesi del 1962 aveva abbandonato tutte le cariche delle società del gruppo Eni, di cui quindi non faceva più parte.

L’ultimo pranzo?

Quella di Guarrasi è una deposizione segnalata nella già citata sentenza di Palermo sul caso De Mauro, con i giudici ovviamente a rilevare che si tratta di un evidente errore temporale (e infatti cozza con numerose dichiarazioni precedenti di Guarrasi). Ci sarebbe poi anche la circostanza della presunta presenza ancora di Cefis a Nicosia, in occasione dell’ultimo pranzo siciliano di Mattei il giorno dell’attentato: particolare suggestivo, non a caso evocato anche in una recente puntata di “Atlantide”, il programma di Andrea Purgatori su La7, dedicata appunto al caso Mattei, ma anche questo del tutto congetturale.

Il libro peraltro si conclude con un’intervista a Sid Ahmed Ghozali, nella seconda metà degli anni Sessanta presidente della Sonatrach (l’impresa statale algerina per gli idrocarburi) e primo ministro tra il 1991 e il ’92. E secondo lui, testuale, l’omicidio di Mattei è maturato «nell’ambito dei servizi francesi manipolati dall’impero coloniale, o meglio petrolifero, francese e nella fattispecie dall’Erap, la cui strategia di base era di mantenere il controllo petrolifero sull’Algeria anche dopo l’indipendenza». L’Erap: cioè l’azienda petrolifera pubblica francese. Che, parole di Ghozali, «era estremamente nazionalista».


L’Italia del petrolio (Feltrinelli 2022, pp. 544, euro 25) è un libro di Riccardo Antoniani e Giuseppe Oddo.

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