Il dibattito sul fine vita continua a dividere il parlamento, con la conseguenza che la legge rimane nel limbo. Alla Camera si è aperta e chiusa la discussione generale senza portare a un orientamento unitario nella maggioranza, che già si era divisa in commissione. In quella sede, infatti il centrodestra che aveva votato contro il testo, nonostante l’inserimento di due correttivi difficili da digerire per i sostenitori della legge: l’obiezione di coscienza e diritto al suicidio assistito solo per chi è tenuto in vita con supporti sanitari e ha avviato le cure palliative.

La prima seduta in Aula si è conclusa senza prevedere un calendario certo dei lavori e termini per gli emendamenti, con il risultato che il voto finale slitterà con tutta probabilità a febbraio, dopo l’elezione del presidente della Repubblica. Il rischio per la legge è lo stesso del ddl Zan: l’approvazione di misura alla Camera grazie ai voti dell’asse tra Partito democratico e Movimento 5 Stelle, affossamento al Senato dove i numeri sono molto più incerti.

E, in ogni caso, anche l’approvazione degli otto articoli nell’attuale formulazione non convince del tutto nemmeno lo schieramento dei favorevoli all’eutanasia: Riccardo Magi di Più Europa ha parlato di «storica occasione persa» perchè «il testo arrivato in aula non corrisponde nemmeno ai paletti posti dalla Corte costituzionale».

Con il rischio che alla fine il testo non adegui l’ordinamento alle indicazioni delle sentenze della Consulta, l’ultima delle quali sul caso di Dj Fabo e nota come sentenza Cappato, che prevede per via giurisprudenziale i limiti e le condizioni per l’accesso al suicidio assistito.

La scelta dei partiti di centrodestra – Lega e Forza Italia per quelli di maggioranza e Fratelli d’Italia dall’opposizione – di schierarsi contro il testo mettendone a rischio l’approvazione, tuttavia, mostra la grande spaccatura che divide la politica dei partiti dal sentire comune dell’opinione pubblica.

L’orientamento dei cittadini

Se tutto andrà come da pronostico, in primavera si celebrerà il referendum sull’eutanasia legale per depenalizzare l’aiuto al suicidio promosso dall’associazione Luca Coscioni, che in tre mesi ha raccolto 1,2 milioni di firme anche grazie all’introduzione della firma elettronica per la sottoscrizione.

Si tratta di un record importante, ma che è il portato di una profonda maturazione sul tema da parte dell’opinione pubblica, in modo trasversale ai partiti. Secondo i dati Ipsos dell’ottobre 2021, il 61 per cento degli italiani è favorevole all’eutanasia, il 27 per cento è favorevole solo in caso di alcune specifiche patologie e solo il 7 per cento è contrario a priori, con un 5 per cento che non si esprime. In vista del referendum, il 67 per cento voterebbe per la depenalizzazione del reato di aiuto al suicidio, a fronte di un 19 per cento di indecisi e il 10 per cento di contrari.

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In estrema sintesi: solo un italiano su dieci è contrario in modo categorico all’eutanasia e il dato è ancora più significativo se confrontato con quello del 2003, dove si esprimeva per il no assoluto il 40 per cento degli intervistati. «In vent’anni c’è stata una maturazione dell’opinione pubblica, avvenuta in modo molto più veloce rispetto alla riflessione politica dentro i partiti», dice il direttore scientifico di Ipsos, Enzo Risso, spiegando la drastica riduzione delle posizioni ideologicamente contrarie anche con la progressiva secolarizzazione della società italiana. «Il tema dell’eutanasia è legato alla sofferenza delle persone ed cresciuto all’attenzione dell’opinione pubblica anche grazie ai casi come quello di Eluana Englaro, Piergiorgio Welby e molti altri. Questi casi hanno contribuito ad allargare il fronte del sì all’eutanasia, pur se non assoluto ma condizionato alla gravità delle patologie».

La distanza dei partiti

Il dato ancora più significativo fotografato da Ipsos, però, riguarda il posizionamento politico dei favorevoli all’eutanasia. Il fronte del sì è maggioritario in tutti i partiti ed è molto omogeneo: si va dal 51 per cento di favorevoli in Forza Italia, il 56 per cento in Fratelli d’Italia, il 66 per cento sia nel Pd che nella Lega e il 67 per cento nel Movimento 5 Stelle.

Questi numeri mostrano come il tema dell’eutanasia, ancora così ideologicamente connotato dentro i gruppi parlamentari, sia invece già maggioritario anche dentro gli stessi partiti di centrodestra che hanno votato in commissione contro il fine vita e puntano a farlo anche in aula. «Di fronte a questo tema i partiti hanno mantenuto posizioni ideologicamente molto connotate e condizionate dal peso che le ali estreme hanno in entrambi gli schieramenti. Nella società civile si è sviluppato un processo apertura ormai maggioritario, pur se legato a precise condizioni come la gravità delle patologie mediche», aggiunge Risso.

Questo paradosso, però, rischia di allargare ancora di più la distanza tra parlamento e opinione pubblica. Dopo una legge di iniziativa popolare depositata sette anni fa, un referendum in via di indizione e sondaggi chiari, il disegno di legge faticosamente elaborato in tre anni di lavoro rischia di finire bloccato. A farlo saltare, più che la contrarietà nel merito dei singoli parlamentari, sarebbero le dinamiche politiche. Da un lato quelle legate alla fase delicata del governo Draghi, sempre più rallentato dalla volontà delle singole forze politiche di pesarsi politicamente anche in ottica del Quirinale. Dall’altro i paletti ideologici che condizionano le scelte in particolare del centrodestra.

Con un solo risultato, però: quello di mettere ancora una volta in evidenza la debolezza dell’attuale parlamento nel tradurre in norma diritti civili che l’opinione pubblica ha già in maggioranza assimilato. Col rischio di venire superato oppure – peggio – smentito dal referendum che dovrebbe tenersi in primavera.

 

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