Il Quirinale decide di intervenire solo all’ora di pranzo, e quando il capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia, Galeazzo Bignami, accende un faro su due articoli del quotidiano La Verità (uno è titolato Il piano del Quirinale per fermare la Meloni) in cui viene riferita una conversazione in cui Francesco Saverio Garofani, storico consigliere di Sergio Mattarella, avrebbe confidato a un interlocutore (che non viene nominato) le sue preoccupazioni per l’ipotesi che Giorgia Meloni venga eletta presidente della Repubblica auspicando la nascita di una «grande lista civica nazionale» per contrastare la destra, sotto la guida di Ernesto Ruffini e l’ispirazione di Romano Prodi.

Garofani, secondo il quotidiano diretto da Maurizio Belpietro, si sarebbe augurato un «provvidenziale scossone» (virgolettato nel testo).

Il giovane meloniano, uno che deve sempre sgomitare per farsi spazio fra i big del suo partito, stavolta ha mirato alto: «Confidiamo che queste ricostruzioni siano smentite senza indugio in ossequio al rispetto che si deve per l’importante ruolo ricoperto, dovendone diversamente dedurne la fondatezza». A questo punto, e solo a questo punto, l’ufficio stampa del Colle, scocca una nota: «Al Quirinale si registra stupore per la dichiarazione del capogruppo alla Camera del partito di maggioranza relativa che sembra dar credito a un ennesimo attacco alla presidenza della Repubblica costruito sconfinando nel ridicolo».

La smentita all’articolo è indiretta. Perché fin lì l’intento del Colle è di non prendere neanche in considerazione la presunta “notizia”. Di “piani” del Colle la stampa di destra ne ha raccontati altri, e sono tutti evaporati. La controprova è che martedì 18 novembre, nella rassegna stampa quotidiana del Quirinale, gli articoli della Verità non c’erano.

Opposizioni in campo

A questo punto le opposizioni insorgono. Tutto il Pd di rito franceschiniano, quello da cui proviene Garofani, attacca. Si unisce quello vicino a Elly Schlein. E i Cinque stelle, e gli altri, a valanga. Per tutti la linea è: è solo fango sul Colle, che la destra attacca per creare un diversivo il giorno in cui l’Europa dice che l’Italia ha una crescita «modesta».

È una polemica inventata ad arte, secondo Giuseppe Conte, «perché oggi la notizia è che anche Commissione europea certifica la crescita zero dell’Italia e che saremo ultimi in Europa. Tutto questo serve per alzare un polverone inutile e pretestuoso quando invece la realtà è questa». In un crescendo di toni, viene chiamata in causa la premier Meloni: per le opposizioni l’attacco a Mattarella viene da palazzo Chigi.

Attraverso gli articoli firmati dal direttore della Verità Belpietro. A cui ogni tanto capita di raccontare di complotti immaginari: indimenticabile quello, quando dirigeva Libero, sull’organizzazione di un attentato a Gianfranco Fini la cui responsabilità doveva ricadere su Silvio Berlusconi. Non era vero. Così come non era vera la notizia, ma qui l’autore era Alessandro Sallusti, sul Giornale, di movimenti per far indagare Arianna Meloni. Anche in questo caso nessuna conferma. Ma, come si dice, due indizi fanno una prova.

Fazzolari prova a ricucire

A questo punto il sottosegretario Giovambattista Fazzolari prova a arginare l’effetto-boomerang. Perché nel frattempo dal Quirinale, silenziosissimo – Mattarella martedì era a Lucca all’inaugurazione dell’anno accademico della Scuola IMT Alti Studi – una cosa sola è filtrata: l’irritazione del presidente. Che non ha per oggetto gli articoli, ma la copertura politica che gli ha offerto FdI, e in particolare il presidente dei deputati: che però nella grammatica istituzionale del Colle è cosa assai più grave.

Fazzolari dunque corre ai ripari. «Né FdI né tantomeno palazzo Chigi hanno mai dubitato della lealtà istituzionale del presidente Mattarella», dice. Replica ironica di Andrea Orlando, del Pd: «Il capogruppo FdI alla Camera attacca il Quirinale, afferma di averlo fatto all’insaputa della premier. Non domando nemmeno se sia vero, chiedo solo se è verosimile». Bignami comunque fa larghi passi del gambero, spiegando che la smentita lui l’ha chiesta a Garofani, non a Mattarella. Versione ribadita anche da Fazzolari.

Ma la frittata è fatta. A Montecitorio la capogruppo dem Chiara Braga chiede che Meloni venga in aula a dire «se condivide» le parole «inaccettabili» di Bignami. Si uniscono M5s, Avs e Azione. Lui replica attaccando: «Continuiamo ad aspettare la smentita». Giovanni Donzelli, numero due di FdI, lo spalleggia ancora. Chiede se Garofani «può» smentire. Arriva invece la conferma di Belpietro, che accusa il Quirinale di voler insabbiare il suo scoop. Perché? Perché non si è preso la pena di smentirlo. Anzi, non l’ha proprio calcolato. Nei palazzi viene messa in circolazione l’ipotesi minacciosa che della conversazione ci sia una registrazione.

La tempistica

E qui facciamo un passo indietro alle presunte (fin qui) confidenze malriposte di Garofani. Che è un ex parlamentare del Pd ed è uno degli storici consiglieri di Mattarella, in particolare sulle questioni istituzionali. Ha un passato politicamente targato, un’amicizia nota con Ruffini e Prodi e delle opinioni politiche. Il punto più delicato è che è segretario del Consiglio supremo di difesa. Ruolo sensibilissimo. Il Consiglio si è riunito lunedì. Lì il presidente della Repubblica, che ne è capo – e che era appena tornato dalla Germania, dove in un intervento al Bundestag aveva parlato di «troppi Stranamore» e aveva ribadito che «la guerra di aggressione è un crimine» – ha “imposto” al governo un chiarimento sul «pieno sostegno all’Ucraina». Che le ultime uscite di Matteo Salvini hanno fatto tentennare. Il ministro della Difesa Guido Crosetto è schierato con lui.

Il giorno dopo questo chiarimento, che non piace a chi vuol far uscire l’Italia dal fronte pro Kiev, spunta il dialogo del consigliere di Mattarella che, sempreché confermato, ragiona in modo confidenziale e certamente poco quirinalizio di come evitare che Meloni venga eletta al Quirinale. O chi per lei. Ma del resto Meloni sta preparando una legge elettorale che assicura alla destra la possibilità di eleggere da sé la presidenza della Repubblica.

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