La partita è enorme, per le destre. È quella della vita per Giorgia Meloni che forse mercoledì, per un momento, ha anche pensato al gesto estremo. Il colpo di teatro che avrebbe inevitabilmente segnato questa campagna elettorale: presentarsi da sola alle prossime elezioni. I sondaggi, in fondo, le danno quasi unanimemente una percentuale di voti superiori alla somma di quelli che dovrebbero ottenere Lega e FI. Per lei, comunque vadano le prossime elezioni, sarà un successo.

Perché non tentare il tutto per tutto sperando magari in un “effetto valanga” come quello di cui quattro anni fa ha beneficiato il Movimento Cinque stelle? In fondo, è il ragionamento, è anche grazie a quel risultato che Giuseppe Conte è arrivato a palazzo Chigi e ha guidato due governi. Senza contare che pure Mario Draghi non si è potuto permettere di fare a meno del M5s. Come se non bastasse, Meloni non crede ai sondaggi. Anzi, lei e il suo cerchio magico in queste ore si vanno convincendo di essere persino sottostimati. Il che rende la strada verso il primato tra le forze politiche particolarmente agevole.

In ogni caso non ce ne sarà bisogno. Forse anche per la sua forza ipotetica, Meloni è riuscita a convincere gli alleati. Basta litigi sulla leadership. Il prossimo 25 settembre sarà il primo partito della coalizione a indicare il presidente del Consiglio.

L’intesa c’è al punto che, mentre il lungo vertice dell’alleanza di centrodestra è ancora in corso, il Tg5 trasmette un’intervista registrata a Salvini: «Decidono gli italiani. Chi prende un voto in più, indicherà alla coalizione e al paese, chi prenderà il paese in mano per i prossimi 5 anni. La squadra sarà compatta». Poi il leader della Lega lascia in anticipo la riunione. Deve festeggiare il compleanno della fidanzata Francesca Verdini. Tutto il resto può attendere.

Il vertice

Dopotutto la data della ufficializzazione delle liste e delle alleanze, il 21 e il 22 agosto, è vicina, ma anche lontana. C’è ancora tempo per rompere e per ricucire all’ultimo minuto. I criteri comunque sembrano tracciati: ogni lista si presenterà da sola e si tratterà sulla distribuzione dei collegi uninominali. Il coordinatore di Forza Italia Antonio Tajani lo aveva anticipato: dall’incontro «non emergerà il nome del candidato presidente del Consiglio, ma le linee del programma del centrodestra. Poi poco importa chi alzerà la coppa dopo aver vinto la partita».

In realtà importa tantissimo, se Federico Mollicone, uno del cerchio stretto di Meloni, su Rai News24 sosteneva l’esatto contrario: «Il summit di oggi credo debba seguire la linea e le regole che sin dal 2018 hanno governato i meccanismi della coalizione di centrodestra, sin da quando eravamo minoritari: chi dovesse prendere un voto in più, dovrà esprimere il presidente del Consiglio».

Alla fine sarà così. Meloni ha vinto il primo round e non è detto che sarà lei ad andare a palazzo Chigi. Molto dipenderà dalle reazioni internazionali e da quanto la leader di FdI vorrà concedere a Lega e Forza Italia.

Di certo i dissidi interni al centrodestra non si esauriscono con la questione della leadership.

Ancora Mollicone: «Fratelli d’italia dentro e fuori il parlamento ha condotto un’opposizione propositiva e coerente con i propri ideali, le sinistre continuano a condurre una campagna vergognosa contro la nostra leader anche con immagini di cattivo gusto. L’unico punto in comune che hanno i nostri avversari è l’agenda Draghi, basata su Ius Scholae e cannabis libera, priorità del Partito democratico e della sinistra. Il nostro sarà un programma di buonsenso per il governo nazionale, volto a calmierare gli effetti negativi sugli italiani del caro bollette e del caro energia e rilanciare il lavoro».

Al netto della depenalizzazione della cannabis e dello Ius scholae (sul quale Forza Italia era più aperturista della Lega), il fatto è che l’Agenda Draghi è stata, in sostanza, anche il programma delle destre di governo.

E invece Meloni ha già iniziato una campagna tutta all’attacco di Draghi. E Salvini sa che su tutto, persino sui suoi grandi classici come il contrasto all’immigrazione, Meloni può rivendicare una purezza che l’ex ministro ha fatalmente perso, agli occhi di un elettorato di destra sempre più spinto verso la radicalizzazione.

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