A leggere il bilancio della Tosinvest Finanziaria, la holding della famiglia Angelucci – capostipite il deputato forzista, imprenditore delle cliniche e dell’immobiliare Antonio Angelucci, presidente il figlio Giampaolo – verrebbe da chiedersi come sia possibile che il gruppo sia pronto ad acquisire Il Giornale dei Berlusconi. Il settore dell’impero che produce più perdite e rischi, al netto delle inchieste giudiziarie sul gruppo, è sempre l’editoria.

Eppure la scelta degli Angelucci va letta come un tassello delle grandi manovre che negli ultimi anni hanno cambiato e sono destinate a cambiare l’ecosistema dei padroni dei media. Mentre i media nazionali sono schiacciati dalla concorrenza delle grandi piattaforme digitali e pensano a razionalizzare gli investimenti, a livello locale alcuni imprenditori investono milioni di euro.

Così diventano monopolisti o quasi in un settore in declino quale è quello dell’informazione quotidiana, perché lo considerano ancora strategico per essere influenti. Col risultato che in intere aree d’Italia alcuni imprenditori poco conosciuti al grande pubblico contano più della Rai.

L’allarme dell’Agcom

Già prima della pandemia l’autorità garante per le comunicazioni aveva lanciato un allarme sottovalutato sullo stato dell’informazione locale. L’authority aveva condotto un’indagine sul sistema dell’informazione regionale con una nuova metodologia: aveva stimato il totale della popolazione raggiunta dal complesso delle testate editoriali, televisive, digitali e di carta stampata possedute da una determinata società. L’obiettivo era valutare la rilevanza dei diversi gruppi editoriali a livello regionale.

Il risultato è che in cinque regioni c’è un gruppo editoriale più rilevante della Rai: il gruppo Athesia in Trentino-Alto Adige, l’Unione Sarda in Sardegna, Monrif in Emilia-Romagna e Toscana, Telemolise in Molise, dove ha una “total audience” addirittura del 70 per cento, e il gruppo Norba in Puglia e Basilicata, con il 47 per cento.

Scrive l’Agcom: «L’effetto della crisi può portare all’emergere di posizioni di forza informativa, che sono il frutto di una situazione di generale debolezza del tessuto economico del settore». La radiografia fatta dall’authority elenca una seria di mali che si alimentano l’uno con l’altro: «la sensibile riduzione del numero di voci indipendenti, l’emergere di situazioni di concentrazione, la difficile congiuntura economica e finanziaria del comparto, nonché l’esistenza di commistioni tra informazione e politica locale».

E qui veniamo agli Angelucci. Secondo le indiscrezioni circolate in questi giorni, l’acquisizione de Il Giornale dovrebbe servire a integrare tre redazioni: una edizione nazionale affidata a Il Giornale, una milanese affidata a Libero, e una romana a Il Tempo, storico quotidiano della Capitale.

Con un’altra mano, poi, Angelucci sta trattando la vendita di parte delle testate del gruppo Corriere: a quelle toscane è interessato Alberto Leonardis, l’imprenditore che con la Sapere audere editori (Sae) sta facendo incetta dei quotidiani locali ceduti dal gruppo Gedi dalla Lombardia, all’Emilia fino alla Sardegna. Secondo il bilancio ordinario 2020 della Tosinvest, Il Tempo, acquisito da Caltagirone nel 2016, ha registrato 1,2 milioni di euro di perdite, il gruppo Corriere, attivo soprattutto in Umbria e Lazio, 2,7 milioni. Per entrambe ci sono stati interventi di ricostituzione del capitale per coprire le perdite.

La holding ha intanto ceduto la quota di minoranza del 40 per cento di Libero alla fondazione San Raffaele, già proprietaria del 60 per cento. A sua volta affitta la testata alla cooperativa beneficiaria nel 2021 di 5,4 milioni di euro lordi di contributi diretti dello stato.

Le disavventure nel mondo dell’editoria hanno per altro portato Tosinvest ad accantonare 4,5 milioni di euro per far fronte alle contestazioni dell’agenzia delle entrate sulle operazioni di cessione della testata Il Riformista.

Nel bilancio di Tosinvest si sottolinea la crisi perdurante del settore e la sempre crescente necessità «di razionalizzazione dei costi e di ottimizzazione delle risorse per potere investire, al fine di provare a recuperare marginalità ed efficienza, operando riorganizzazioni interne e rendendo più flessibile tutta la filiera produttiva».

Il risiko è destinato a concentrare ancora di più le voci informative, nel caso degli Angelucci nelle mani di un gruppo dagli innumerevoli interessi e anche con qualche guaio di rilievo. A fine gennaio, per citare l’ultimo fatto eclatante, la procura di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di Angelucci padre per istigazione alla corruzione: aveva chiesto all’assessore della regione Lazio Alessio D’Amato di riconoscere crediti a una delle cliniche del gruppo San Raffaele e lui lo aveva denunciato.

L’acceleratore Covid

©Bank Phrom

La tendenza alla concentrazione, però, si registra a ogni latitudine del paese di pari passo con una crisi di settore che non accenna a fermarsi. Secondo gli ultimi dati pubblicati da Agcom a inizio febbraio, tra il 2016 e il 2020 i ricavi dell’editoria quotidiana e periodica sono scesi del 27,2 per cento passando da 4,51 a 3,28 miliardi di euro, con una riduzione di oltre il 14 per cento tra 2019 e 2020.

Nello stesso periodo sono stati persi anche 2mila posti di lavoro, di cui 400 solo nell’ultimo anno, dovuti soprattutto alla riorganizzazione dei gruppi Gedi e Mondadori. Nel complesso anche le principali emittenti televisive, di cui tre diffuse a livello regionale, registrano ricavi in calo: la riduzione è del 12 per cento, meno della metà della stretta per la stampa.

E gli effetti sono numerosi per l’interesse pubblico. Da nord a sud della penisola si stanno rafforzando monopoli e oligopoli dell’informazione scritta, parlata, trasmessa su frequenze, di cui si parla pochissimo, nonostante l’informazione locale sia ancora a tutti gli effetti una fonte importante per i cittadini italiani. Succede dal Trentino alla Sicilia, passando per la Sardegna. E allo stesso tempo, con il crollo dei ricavi, dovuto soprattutto al calo di quelli pubblicitari, aumenta il peso della dipendenza dai finanziamenti pubblici.

Ci sono quelli straordinari legati al Covid – 90 milioni per il 2022 e 140 milioni nel 2023 – e quelli annualmente erogati dal dipartimento dell’editoria. Sappiamo ogni anno quanto va e a chi, sappiamo invece molto poco di come vengono condotte le istruttorie sulle richieste di contributi. Il dipartimento dell’editoria contattato da Domani per chiarire le procedure non ha dato finora risposta.

A livello nazionale si va in cifre lorde dai 6 milioni di Avvenire ai 5,4 milioni appunto di Libero degli Angelucci ai 4 di Italia Oggi agli 1,8 del Foglio. Ma fondi piovono anche su testate locali: 3,6 milioni sono andati nel 2020 al Quotidiano del Sud, diretto dall’ex direttore del Sole 24 Ore Roberto Napoletano. Non solo rimane in sella a un quotidiano, dopo lo scandalo delle copie e dei bilanci gonfiati del quotidiano di Confindustria, ma l’anno scorso si è visto anche cancellare dalla corte d’appello di Roma la sanzione comminata dalla Consob per la diffusione al mercato di “un quadro informativo falso”.

L’authority non avrebbe portato abbastanza prove del ruolo da lui giocato nella vicenda. Oltre ai sostegni dello stato, ci sono poi altri fondi distribuiti da decine di enti della pubblica amministrazione all’editoria locale, soprattutto televisiva, a partire dalle regioni che coi loro presidenti hanno occupato le emittenti locali durante la pandemia fino alle Asl che si promuovono sul territorio.

Il presidente della regione Veneto, Luca Zaia, ha firmato un bilancio regionale che offre due milioni di euro alle emittenti. L’opposizione per tutta risposta ha detto che servivano fondi anche per le radio. Il candidato del centrosinistra che aveva sfidato Zaia alle elezioni, Arturo Lorenzoni, spiega: «Durante la campagna elettorale le tv ti chiedevano: ma tu hai soldi da spendere in pubblicità? Quando io gli dicevo no mi spiegavano: “Peccato ti avrei ospitato volentieri”».

Domani ha deciso di raccontare cosa sta succedendo all’informazione locale italiana, con tutte le sue contraddizioni: cronisti coraggiosi che lavorano per editori a processo per mafia, gruppi che si dicono indipendenti ma non hanno la forza di criticare gli amministratori locali, vecchi e nuovi sistemi di potere. In Molise, tanto per dire, se c’è un’emittente quasi monopolistica, anche uno dei più conosciuti politici locali, l’europarlamentare Aldo Patricello, ha la sua personale televisione e alle spalle una famiglia che controlla una rete di cliniche private in cinque regioni, Molise, Campania, Lazio Puglia e ora anche Abruzzo.

In Trentino-Alto Adige il gruppo Athesia possiede la testata in lingua tedesca Dolomiten: il quotidiano è tra i maggiori beneficiari dei fondi di sostegno pubblico all’editoria con più di sei milioni di euro distribuiti come voce delle minoranze linguistiche, ed è allo stesso tempo il primo quotidiano della regione. Athesia, poi, ha fatto shopping dei quotidiani venduti dal gruppo Gedi, Alto Adige e Trentino, e infine del quotidiano L’Adige, il secondo più diffuso.

Solo con questi il gruppo raggiungeva oltre i due terzi della diffusione di tutti i quotidiani. Tanto che una testata, sempre in nome della razionalizzazione, ha deciso di chiuderla. Come se non bastasse, controlla quattro emittenti radio e due concessionarie di pubblicità.

In Sardegna, invece, resiste ancora un duopolio: secondo l’Agcom il 70 per cento delle persone che si informano a livello locale lo fanno attraverso una testata del gruppo Unione Sarda che è proprietaria oltre dell’omonimo e principale quotidiano, anche della principale radio, Radiolina, della principale televisione, Videolina, e di due periodici. A farle concorrenza c’è la Nuova Sardegna che dal primo febbraio è stata ceduta ufficialmente da Gedi ed è diventata proprietà della Sae, guidata da Alberto Leonardis.

In Sicilia la società di Mario Ciancio Sanfilippo, accusato di legami con le cosche, controlla otto emittenti, tra cui le due principali tv locali e il quotidiano La Sicilia. Fino al fallimento della Edisud aveva anche la Gazzetta del Mezzogiorno.

Dal 2018 il patrimonio di Sanfilippo, e quindi anche tutte le società controllate, è stato posto sotto sequestro e affidato alla amministrazione giudiziaria fino a che prima la corte di appello di Catania e poi la Cassazione hanno definitivamente dichiarato il sequestro illegittimo. È il primo gruppo editoriale edito da un uomo a processo per concorso esterno.

Ma oltre a Ciancio sull’isola c’è la potente galassia Ses: controlla quattro canali tv di cui uno è il terzo a livello regionale, edita La Gazzetta del Sud, che è praticamente il quotidiano storico della Calabria, unico caso in cui un giornale di riferimento locale ha la sua testa in un’altra regione.

E poi, attraverso Giornale Sicilia editoriale, anche Il Giornale di Sicilia, cioè il quotidiano di Palermo. Insieme i due gruppi controllano più della metà dell’informazione locale.

Ci sono solo tre regioni in cui il quotidiano è ancora il primo riferimento informativo secondo l’Agcom e cioè Emilia-Romagna, Toscana e Piemonte cioè proprio quelle in cui il brand “locale” fa parte di gruppi editoriali nazionali: Monrif, l’editore de Il Giorno, Il Resto del Carlino e La Nazione, e Gedi che con La Stampa è il quotidiano di riferimento in Piemonte.

Entrambi i gruppi però hanno avviato una fortissima razionalizzazione. Monrif, che è quotata in Borsa e guidata da Andrea Riffeser Monti – a capo anche della confindustria dei giornali, la Federazione degli editori (Fieg) –, è un pioniere dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali e prepensionamenti, pagati dall’Inpgi, l’istituto di previdenza che per evitare il fallimento è stato assorbito dall’Inps. L’ultimo piano avviato nel 2021 dovrebbe concludersi nel 2023. I risultati dei primi nove mesi del 2021 intanto indicano un indebitamento netto per la società di 95 milioni di euro.

Nel complesso, però, la flessione della carta stampata è stata più accentuata a partire dalla metà degli anni Dieci al sud rispetto che al nord. Al sud è anche più alta la quota di lavoro precario: superiore addirittura al 45 per cento, uno scarto di circa 15 punti percentuali rispetto alle altre zone del paese, dove è precario poco meno un lavoratore su tre. In alcuni casi si arriva alla vera e propria violenza privata esercitata sui lavoratori, come è successo ad Alessandro Bozzo cronista di Calabria Ora, morto suicida.

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