«Ovviamente un governo può proseguire nella sua azione solo sulla base della fiducia di ciascuna forza di maggioranza. Se non c'è questa non si può andare avanti, è una banalità. Siamo una repubblica parlamentare. Certo io non mi sottraggo al confronto e al dialogo. Ne avremo quanti ne vorranno i partiti della coalizione. Non mi hanno mai spaventato». Lo ha detto il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, in un'intervista a La Stampa.

Parlando del duro intervento in Senato del leader di Italia viva, Matteo Renzi, Conte dice: «Non voglio entrare nella testa e nelle opinioni altrui». Quanto all'invito del segretario del Pd Nicola Zingaretti e di Graziano Delrio a sciogliere in nodi all'interno della maggioranza, il premier precisa: «Non dobbiamo permettere alla dialettica politica di farci precipitare in sterili discussioni sconnesse dal paese e dalle sue urgenze» e perderci in «un chiassoso interrogarsi tra di noi fine a se stesso».

Conte vuole però sgombrare il campo da «fraintendimenti colossali» riguardo alla gestione dei fondi del Next Generation Eu affidata a una cabina di regia centralizzata a palazzo Chigi ed estesa a sei manager che fa storcere il naso a Iv e a buona parte del Pd. «Nessuna marcia indietro su questo», puntalizza il premier dopo aver letto di un’ipotesi di ripensamento sulle figure tecniche inserite nella task force. Conte torna poi sulle accuse che gli ha rivolto Renzi: «Nel testo della norma non c'è scritto da nessuna parte che ci saranno 300 consulenti».

Nessuna architettura elefantiaca, secondo il premier. Sin dall'inizio «la struttura di governance è stata concepita come molto snella. Ma i responsabili di missione ci saranno, e avranno lo staff necessario per monitorare e controllare i tempi di attuazione del piano. Altrimenti sarebbe impossibile verificare lo stato di avanzamento dei progetti selezionati dal Consiglio dei ministri. Parliamo di opere che avranno diffusione capillare, come asili nido, edifici scolastici, migliaia di cantieri».

Questi manager, che Conte ama definire «facilitatori», non avranno «poteri espropriati dalle amministrazioni centrali o locali». Allo stesso tempo, «abbiamo previsto una clausola di salvaguardia per dotarli di poteri sostitutivi ma solo in caso di ritardo, se l'amministrazione non può intervenire, per non perdere le risorse». Un'eventualità che dovrà avere comunque «un passaggio in Cdm».

Per Conte il ruolo del parlamento non è stato marginalizzato: «Siamo l'unico paese che ha parlamentarizzato il Recovery plan fin dall'impostazione delle sue linee guida. Il parlamento resterà centrale e anche nella fase di monitoraggio sarà costantemente aggiornato. Ora invieremo alle camere il documento di aggiornamento al piano. E quando avremo i nuovi atti di indirizzo elaboreremo la versione finale e la invieremo nuovamente in parlamento».

Il premier conferma infine che la norma sulla governance, come chiede Renzi, non sarà inserita in legge di Bilancio, ma in un decreto «che permetterà di vagliare tutti gli aspetti in sede di riconversione parlamentare e dove si potranno apportare tutte le modifiche che vorranno i partiti».

© Riproduzione riservata