Come dopo il 2001, come nel decennio di guerra in Siria. Buona parte del giornalismo italiano commenta quanto sta accadendo dal 7 ottobre in Israele e nella Striscia di Gaza come se stesse assistendo a una partita di calcio, su curve contrapposte. Ci manca solo il “devi morire”, ma forse arriverà. Sul campo non c’è però una partita. Ci sono massacri di civili. Israeliani prima, palestinesi poi.

Dopo il crimine contro l’umanità contro le Torri gemelle del 2001, chi sosteneva l’importanza del rispetto dei diritti umani venne a lungo trattato come utile idiota, “fermo al Novecento”, “trombettiere di al Qaeda”.

I tempi erano cambiati, c’era un nemico nuovo e – come disse a un rappresentante di Amnesty international un funzionario della Cia – era venuto il momento di «togliersi i guanti» e agire sul serio. Ci fu chi, anche in Italia, invocò la tortura. E in giro per il mondo ci fu chi la praticò: gli Usa a Guantánamo, l’Egitto di Mubarak e la Siria di Bashar al Assad (sì, lui, l’autoproclamato protettore dei palestinesi e leader dell’antiamericanismo) per conto degli Usa. Tutto questo contribuì, tra le altre cose, ad alimentare islamofobia e antisemitismo.

La difesa e la caccia

La lezione non è stata appresa. Dal 7 ottobre abbiamo ascoltato e letto parole di difesa acritica nei confronti di Israele, di associazione tra la popolazione civile di Gaza, allo stremo da anni, e Hamas, di derubricazione della questione palestinese a mero problema umanitario: dare aiuti senza dare diritti.

È partita una caccia alle streghe nei confronti di coloro che provavano, dopo aver espresso nel modo più inequivocabile la condanna per i crimini di guerra commessi da Hamas e da altri gruppi palestinesi contro la popolazione civile israeliana, a parlare del “contesto”, delle “cause di fondo”. È stato persino inventato un neologismo: i “complessisti”, coloro che hanno la colpa di cercare nella storia la complessità degli eventi in corso, dal segretario generale dell’Onu António Guterres in giù.

Parlare di diritti umani, in particolare delle regole di guerra – ossia del diritto internazionale umanitario – è diventato un esercizio disperato. Ricordare che sono vietati gli attacchi indiscriminati contro civili e obiettivi civili, al pari degli attacchi sproporzionati che non applicano il principio di distinzione tra obiettivi civili e militari, così come delle punizioni collettive quali la sospensione della fornitura di servizi essenziali e, infine, degli “ordini di evacuazione” che non sono altro che trasferimenti forzati di popolazione, produce l’accusa di essere pro Hamas.

Ne sono stato testimone diretto, lunedì scorso, ospite del programma “L’aria che tira” de La7. Aggredito verbalmente a colpi di “vergognati!”, “cambia lavoro”, “antisemita”, perché traducevo “pogrom” e “terrorismo” in “crimini di guerra”, tentando di spiegare che quando un giorno, si spera presto e si spera non solo loro, i capi di Hamas saranno portati di fronte a un tribunale internazionale, dovranno essere giudicati per quel capo d’accusa, dato che nel diritto internazionale il “reato di pogrom” non c’è.

La scelta di Zerocalcare

La scelta di Zerocalcare di non prendere parte a Lucca Comics per via del patrocinio dell’ambasciata israeliana in Italia (che rappresenta un governo, da quello prende istruzioni, e quel governo ha ordinato al suo esercito di commettere crimini di guerra nella Striscia di Gaza) ha prodotto una sequela di insulti, i più pesanti dei quali da parte di Francesco Merlo sulla Repubblica: «Fumante di collera, Zerocalcare neanche si rende conto di somigliare ad Hamas e gli pare una gran figata buttare i suoi razzi di fumo-fumetto su Israele».

In questa abissale ignoranza del diritto internazionale umanitario, mai come in queste settimane abbiamo ascoltato leader politici e militari di entrambe le parti in conflitto autoaccusarsi tronfiamente di crimini di guerra, ripresi senza battere ciglio dalla stampa italiana. Il lavoro della giustizia internazionale sarà molto facile quando si attiverà (ricordiamo che dal 2021 la Corte penale internazionale sta indagando su crimini di sua competenza in Israele e nei Territori palestinesi occupati: Gaza, Cisgiordania e Gerusalemme est).

Insomma, in buona parte degli studi televisivi e in buona parte dei quotidiani, il vocabolario dei diritti umani è scomparso in favore di una narrazione incompetente e faziosa, in cui giornalisti fanno domande a giornalisti aspettando che appaia il pupazzetto da impallinare, come al luna park. O come allo stadio.

 

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