Dopo il pessimo risultato alle regionali di Lombardia e Lazio, nel cosiddetto terzo polo formato da Italia Viva e Azione è il momento dell’esame di coscienza e della resa dei conti. Il nervosismo è palpabile. Nella sua prima intervista a caldo, pubblicata ieri dal Corriere della Sera, Calenda si lascia andare: hanno sbagliato gli elettori «non ho timore a dirlo», dice.

Ma intanto si dimette Niccolò Carretta, il segretario di Azione nella ricca e operosa Lombardia, che aveva mal tollerato l’imposizione da Roma di Letizia Moratti e soffriva la presenza di Mariastella Gelmini, entrata in azione da meno di un anno, ma abituata a dare le carte nella sua regione. È un colpo durissimo e personale per Calenda, che in questa elezione ha imposto scelte e strategie, tenendo cortissime le briglie ai territori e calando o facendo calare dai suoi fedelissimi buona parte della candidature. Sullo sfondo aleggia la fusione con Italia viva, caldeggiata da Calenda, ma su cui i renziani hanno sempre più dubbi e, ora, buone ragioni per rinviare. Di certo, fino a dopo le prossime europee.

I risultati

Difficile dire quale pesi di più tra le due sconfitte. In Lombardia, la candidata della coalizione Letizia Moratti conclude lo spoglio senza riuscire nemmeno a raggiungere la doppia cifra: 9,87 per cento, 200mila voti in meno rispetto a quanto avevano raccolto Azione e Italia viva alle politiche di settembre. Persino a Milano, la produttiva “capitale morale” dove il Terzo polo alle politiche aveva superato il 20 per cento, Moratti si è fermata sotto al 14 per cento.

In Lazio, dove Azione correva nella coalizione di centrosinistra, il terzo polo è passato dai 220mila voti delle politiche ad appena 75mila, praticamente dimezzando anche le percentuali, da otto a quattro per cento. Anche in Lazio, la grande metropoli dove l’appeal di Azione dovrebbe essere particolarmente forte, lascia solo delusioni: il partito si ferma al 5,8 per cento. Lontanissimo dal 20 per cento ottenuto da Calenda come candidato sindaco, praticamente la metà del 10 per cento ottenuto dalle politiche.

L’impegno

La sconfitta a Roma è quasi una disfatta personale per Calenda che gli ricorda quanto il consenso personale sia effimero in questa epoca di cicli politici brevissimi. Ma in Lazio il terzo polo si presentava in una coalizione, senza un forte profilo autonomo. Se i risultati sono stati deludenti, non sono stati nemmeno del tutto inaspettati. Politicamente, l’investimento in Lombardia è stato di un altro calibro. La scelta di correre da soli e di appoggiare la candidatura di Letizia Moratti ha segnato l’intera campagna elettorale, bloccando ogni possibilità di trattativa col centrosinistra e generando qualche settimana di psicodramma nel Pd, incerto se appoggiare Moratti fino a che la federazione lombarda non ha chiuso nettamente all’ipotesi.

Renzi e soprattutto Calenda hanno dato sostanza a questa scelta politica visitando la regione una mezza dozzina di volte nel corso della campagna elettorale e non risparmiando appoggio alla candidata. A Moratti è stata lasciata mano libera di comporre una lista ricca di profili che con la linea politica di Azione c’entravano poco. A questo proposito è stato memorabile lo scontro su Twitter tra Calenda e l’ex leghista Davide Boni. Il primo aveva appena annunciato che aveva sbarrato la strada alla candidatura di un gruppo di ex leghisti vicini a Bossi perché troppo estremisti. Boni, candidato nella lista Moratti, lo ha punzecchiato, ricordandogli di essere uno di loro.

La scelta di Moratti è maturata a Roma e gran parte dei dirigenti locali ha saputo della decisione leggendo i giornali il giorno successivo. Niccolò Carretta, il segretario lombardo che ha annunciato le dimissioni la sera del voto, lavorava da mesi in tutt’altra direzione, un accordo con il Pd per candidare Pierfrancesco Maran oppure Carlo Cottarelli. L’accordo era praticamente fatto quando è arrivato l’annuncio dell’appoggio a Moratti. Il terzo polo si è così avviato al voto con buona parte dei quadri già demoralizzati e con poche speranze di un risultato positivo. Nonostante le 2.400 preferenze, lo stesso Carretta ha mancato l’elezione perché nel suo collegio di Bergamo non è scattato un seggio per Azione.

Cosa è andato storto

«Avete tutti scritto che la Moratti era la candidata perfetta per la Lombardia», ha scritto ieri su Twitter Calenda, all’attacco di chi ora lo accusa di aver scelto una candidatura perdente. Ma se sui giornali in molti sostenevano la forza di Moratti, anche per via di una serie di sondaggi non proprio affidabili, altrettanti nelle federazioni locali a porte chiuse esprimevano dubbi già nelle scorse settimane.

Con il suo profilo cittadino e di alta borghesia, Moratti infatti duplicava l’appeal verso i ceti urbani e benestanti su cui il terzo polo già poteva contare. Ma poco poteva fare per sopperire alla mancanza di radicamento territoriale in provincia di Azione e Italia viva, partiti che non possono contare che su una manciata di consiglieri comunali e praticamente nessun sindaco. Le percentuali dei voti raccolte a Milano indicano che nemmeno nel centro della metropoli Moratti era l’asset che Calenda pensava. «La gente mi diceva: “Chiedimi tutto ma non di votare Moratti”», racconta un dirigente di Italia Viva.

Cosa ha funzionato

Figura divisiva sia come sindaca della città che come ministra dell’Istruzione, Moratti aveva della sua la riconoscibilità più alta di tutti i suoi avversari. In un quadro piuttosto disastroso, la sua civica è andata bene, superando di 30mila voti quella di Azione-Iv e riuscendo a eleggere quattro consiglieri contro i tre degli alleati. Italia Viva intanto festeggia l’elezione dell’ex parlamentare Lisa Noja e di Giuseppe Licata, incassando così due consiglieri su tre. Se a questo si aggiunge lo schiaffo personale e il conseguente ridimensionamento delle ambizioni di Calenda, Renzi potrebbe considerare queste elezioni quasi un messo successo. Mors tua vita mea. Anche tra alleati.

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