«Sono convinta che ci sia spazio per ricostruire una proposta politica nuova e che dalla Lombardia possa partire questa proposta». Le parole di Letizia Moratti non sono sorprendenti per un candidato appena sconfitto, ma nel suo caso suonano particolarmente amare. L’operazione orchestrata da Azione-Italia viva intorno alla sua candidatura in Lombardia è fallita senza appello.

L’ex sindaca di Milano ed ex ministra dell’Istruzione ha raccolto un terzo dei voti del candidato di centrosinistra Pierfrancesco Majorino e addirittura un quinto dell’inarrivabile Attilio Fontana. Sembra lontani un secolo i sondaggi che l’estate scorsa la davano vincente contro qualsiasi avversario e che avevano contribuito a lanciare la sua candidatura (sondaggi sulla cui affidabilità Domani aveva espresso qualche dubbio).

Ma c’è di più. L’operazione Moratti sembra aver fallito anche in quello che appariva il più semplice degli obiettivi dichiarati: dividere il centrodestra rosicchiando qualche voto al poco convincente presidente leghista uscente. Fontana ha superato il 50 per cento dei voti, riuscendo – incredibilmente – a migliorare il risultato delle scorse regionali, quando aveva vinto con il 49 per cento dei voti.

Candidata di città

Con il suo profilo aristocratico e cittadino, Moratti non è riuscita a convincere la provincia lombarda che anche in questa tornata elettorale si è confermate la spina dorsale del consenso del centrodestra. Serviranno i dati elettorali che saranno pubblicati nei prossimi giorni per confermarlo, ma già ora sembra di poter dire che il principale risultato ottenuto da Moratti sia stato dividere non il centrodestra, ma il centrosinistra, in particolare il blocco benestante e cittadino, il “partito delle Ztl”, che fino alle ultime politiche votava compatti per la coalizione progressista.

Sarà interessante a questo proposito osservare i risultati di Milano, dove già alle elezioni politiche abbiamo assistito a una divisione del “partito dei centri città” con le aree semiperifieriche e gentrificate che preferivano il Pd e il centro storico vero e proprio che puntava su Azione-Italia viva. Ma anche su questo ci sono dei dubbi, perché dai primi risultati Moratti sembra essere andata meglio a Milano rispetto al resto della regione, ma con circa il 15 per cento dei voti non solo non avrebbe sfondato, ma avrebbe persino peggiorati i risultati ottenuti dalla sua coalizione alle politiche di settembre.

Le prospettive

Il risultato di Moratti dovrebbe dare da pensare ai dirigenti di Azione e Italia viva e farli riflettere sulle potenzialità a breve e medio termine del loro progetto politico. La distribuzione dei voti di lista, in particolare, è per loro sconfortante. La lista Moratti, che era stata riempita di ex leghisti tra cui parecchi con un passato radicale e idee nient’affatto in linea con quelle del leader della coalizione Carlo Calenda, avrebbe superato il 6 per cento, secondo le ultime proiezioni. Azione-Italia viva, d’altro canto, avrebbe raccolto intorno al 3,5 per cento. Un pessimo risultato soprattutto se comparato al 10 per cento che il cosiddetto terzo polo aveva raggiunto alle politiche.

Insomma, non solo la candidatura di Moratti è stata un flop, ma la sua lista autonoma ha cannibalizzato i consensi dei candidati più organici alla linea di Calenda. Chi da questa situazione ha tratto immediate conclusioni è il coordinatore di Azione in Lombardia, Niccolò Carretta, che ieri ha annunciato le sue dimissioni. Calenda, invece, per ora si è limitato dire che in Lombardia c’è «un’inossidabile voto di destra che fa crescere Fontana anche dopo il disastro Covid».

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