Ora che Fratelli d’Italia ha stravinto le elezioni, chissà se assisteremo anche a una rilettura della storia per via parlamentare. Se non con specifici disegni di legge (ma non si sa mai), sicuramente attraverso l’organizzazione di “eventi culturali” nelle sedi istituzionali di Camera e Senato.

Un buon esempio è stato quello dello scorso 14 aprile, quando la sala capitolare di palazzo Madama ha ospitato un convegno organizzato dall’Icas, che sta per Intergruppo parlamentare cultura arte sport. Un intergruppo, quindi un organismo trasversale, rappresentativo di tutte le sensibilità politiche presenti in parlamento, nel nome della promozione appunto della cultura, dell’arte e dello sport?

Non è esattamente così, visto che l’Icas si identifica di fatto con una sola persona: il suo fondatore Federico Mollicone, 51 anni, deputato romano di Fratelli d’Italia eletto nel 2018 (e appena confermato) dopo un quindicennio come consigliere, prima nei municipi Roma IX e Roma I (dal 1992 al 2007), e infine in Campidoglio dal 2008 al 2013.

Sulla pagina Facebook dell’Icas il suo volto incorniciato da occhiali e da una curata barbetta bianca campeggia ovunque, mentre il sito a cui la pagina social rimanda è proprio riferito a Mollicone. E oltre a notizie della sua recente campagna elettorale, rilancia il bilancio dell’attività del deputato («forma di responsabilità verso gli elettori») nella diciottesima legislatura ormai in archivio.

Intergruppo 2 agosto

Mollicone, in questi giorni indicato tra i papabili per il ministero dei Beni culturali, non è nuovo a iniziative del genere. Tre anni fa aveva fondato un altro intergruppo parlamentare, con nome “2 agosto. La verità oltre il segreto”. La data indicava ovviamente il giorno, un sabato del 1980, in cui è saltata in aria la stazione di Bologna. La strage più efferata della storia d’Italia, che ha provocato 85 morti e oltre 200 feriti, per la quale sono stati condannati da tempo in via definitiva Francesca Mambro, Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini (ergastolo i primi due, trent’anni il terzo, minorenne all’epoca dell’attentato) e, più recentemente e per ora solo in primo grado, Gilberto Cavallini e Paolo Bellini. Tutti, come noto, neofascisti.

Mollicone aveva presentato pubblicamente l’iniziativa alla Camera il primo agosto del 2019 (proprio alla vigilia dell’anniversario della strage), attraverso una conferenza stampa. E il termine “intergruppo”, più che una circostanza fattuale, definiva già allora una mera ambizione: l’iniziativa era infatti tutta interna alla destra, visto che i promotori erano Mollicone e la collega Paola Frassinetti, pure lei di Fratelli d’Italia. 

Alla presentazione erano intervenuti solo esponenti politici del centrodestra: i senatori Adolfo Urso (pure di FdI) e Maurizio Gasparri (Forza Italia, ma con solide radici nel Movimento sociale e in Alleanza nazionale), gli ex deputati Carlo Giovanardi ed Enzo Raisi, già finiano di ferro protagonista della sfortunata esperienza di Futuro e libertà.

Con loro anche l’avvocato Valerio Cutonilli, tra i principali assertori della cosiddetta “pista palestinese” per la strage di Bologna, ed Elisabetta Zamparutti, tesoriera di Nessuno tocchi Caino: cioè la ong per cui da anni lavorano Mambro e Fioravanti. L’attività dell’intergruppo “2 agosto”, d’altra parte, era chiara fin dal nome: rilanciare la campagna innocentista in favore degli ex Nar.

Quella dell’Icas, anche qui stando al nome, dovrebbe invece essere la promozione di eventi culturali, artistici e sportivi, benché non sia chiaro in base a quali ragioni, per farlo, serva un organismo parlamentare, per quanto non ufficiale (si tratta infatti di associazioni informali, non disciplinate dai regolamenti d’aula).

L’ex generale piduista

Gli intergruppi, però, possono utilizzare sedi istituzionali come, appunto, la sala del Senato che ha ospitato il convegno del 14 aprile: un appuntamento a tutti gli effetti culturale visto che si trattava della presentazione di un libro. Per la precisione di un’autobiografia. Il cui autore, però, risponde al nome di Gianadelio Maletti: l’ex generale piduista ed ex direttore dell’Ufficio D del Sid degradato a soldato semplice dopo le condanne definitive per favoreggiamento nell’ambito della strage di piazza Fontana (ha coperto l’agente Z del Sid, Guido Giannettini, facilitandone la fuga a Parigi, per non parlare della “esfiltrazione” dell’ordinovista Marco Pozzan in Spagna) e per la divulgazione di documenti segreti (il dossier Mi.Fo.Biali, intricata
connection di politica interna, corruzione, petrolio, spionaggio internazionale ed equilibri euromediterranei), finiti in mano al giornalista Mino Pecorelli. È stata proprio quest’ultima condanna a fargli scegliere, fin dal 1980, la via della latitanza, a Johannesburg in Sudafrica, dove è scomparso il 9 giugno dello scorso anno alla soglia del secolo di vita.

Paolo Bolognesi, il presidente dell’associazione dei familiari delle vittime della strage di Bologna, lo ha ricordato lo scorso 2 agosto, all’annuale cerimonia di commemorazione dell’attentato: «Consideriamo un pessimo segnale il convegno organizzato in un’aula del Senato da Fratelli d’Italia per celebrare la figura di Gianadelio Maletti: è un chiaro messaggio di protezione a un sistema di potere ancora operante e capace di attivarsi». 

Quel convegno si era tenuto una settimana dopo l’ergastolo a Paolo Bellini per la strage alla stazione. Il volume, a cui Maletti aveva lavorato fino agli ultimi giorni della propria vita, si intitola Memoriale. Non solo piazza Fontana, è pubblicato da Mursia e in copertina riporta una fotografia dello stesso Maletti prigioniero degli americani a Casablanca nel giugno del 1945.

Sul suo volto un sorriso amaro ma anche ironico, quasi a prefigurare le tante vicende in cui lui, ufficiale dell’esercito regio formato all’Accademia militare di Modena, sarebbe rimasto coinvolto nell’Italia repubblicana. La scelta del Sudafrica è stata obbligata. Per non finire in carcere ha preso anche la cittadinanza e nel 1997, per sentirlo, la Commissione parlamentare stragi ha dovuto recarsi a Johannesburg: un’audizione torrenziale ma con tanto fumo e poco arrosto.

Le polemiche

Maletti è tornato brevemente in Italia nel 2001, grazie a un salvacondotto, per deporre in Corte d’assise a Milano al processo per la strage di piazza Fontana (e in videoconferenza con Brescia per quello di piazza della Loggia). In quel momento doveva scontare altri 15 anni di carcere, inflittigli dalla Corte d’assise di Milano per la strage alla questura, ancora per favoreggiamento nei confronti dell’attentatore, il sedicente anarchico Gianfranco Bertoli, pena poi cancellata da appello e Cassazione. Dal Sudafrica Maletti ai giornalisti non si negava: anche se ammetteva che la sua memoria funzionava, diciamo così, a corrente alternata («quando mi fa comodo», ha detto).

Il Memoriale è stato curato da Concetta Argiolas, che dirige l’archivio storico della fondazione Sturzo. Un incarico che senz’altro spiega la presenza al convegno di Flavia Piccoli Nardelli, deputata del Pd figlia dello storico segretario della Dc Flaminio, ma soprattutto per anni segretario generale della stessa fondazione. Con lei, a discutere del generale assieme alla curatrice del volume, anche lo storico Giuseppe Parlato e il giornalista Francesco Grignetti. All’indomani, le inevitabili polemiche: perché parlare di un depistatore, e presentarne l’autobiografia, nella sede istituzionale del Senato? Polemiche, ci si può scommettere, destinate a riproporsi ancora più spesso dopo il voto del 25 settembre.

Al netto del minimalismo di Maletti sulle vicende che lo hanno visto condannato, il libro ha comunque un suo interesse. Ad esempio il duro giudizio sull’ingerenza della Cia in Italia, i rapporti con il suo capo Miceli e il suo sottoposto Labruna, le parole pesantissime contro Andreotti («non posso esimermi dall’apprezzarne l’intelligenza, la cultura, la maestria politica, l’astuzia. Non l’animo né la rettitudine»). Ma anche singolari retroscena di delicate operazioni di intelligence. È però soprattutto il lettore appassionato di storia militare a trovare pane per i propri denti: quella di Maletti è infatti l’autobiografia di un uomo in divisa, nel bene e nel male. Che della sua controversa parabola si sia in qualche modo appropriato l'intergruppo del deputato Mollicone, è a suo modo un segno dei tempi.

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