A Parma, il caso è stato scenografo. A separare fisicamente prima ancora che politicamente i due principali competitor per la poltrona di Federico Pizzarotti è il dehor di una pizzeria. Così, il candidato del centrosinistra Michele Guerra – 40 anni, assessore tecnico della giunta uscente e nessuna tessera di partito il tasca – rientra nella sede del suo comitato alla fine di via Cavour. Due civici e una pizzeria più in là, il candidato di centrodestra Pietro Vignali, già sindaco prima di Pizzarotti e commissariato dopo il buco di bilancio da 850 milioni di euro, ha organizzato un evento pubblico nel suo, di comitato.

Il primo a prenotare lo spazio, di appena 12 ore, è stato Guerra ma i due convivono con fair play. «Tutti ci stiamo mettendo in gioco, la correttezza deve essere la cifra di ogni confronto», dice Guerra, che concertativo lo è di carattere. Altrimenti mai sarebbe riuscito a mettere insieme sei liste ma soprattutto nove sigle politiche – tra cui il Pd – che attualmente sono all’opposizione della giunta Pizzarotti di cui lui è assessore alla cultura.

Proprio questo è stato uno dei punti più difficili della sua candidatura e ha generato una spaccatura nel Pd locale, che prima aveva scelto di fare le primarie e poi ha deciso di sostenerlo. «Il progetto è del tutto nuovo», assicura Guerra. «Federico ha avuto un risultato straordinario tenendo in piedi la città dopo un debito esorbitante», dice usando parole che rimandano a un’altra era politica, «la discontinuità sta prima di tutto nelle persone che stanno insieme costruendo questo progetto di centrosinistra largo, che punta alla cura della città e alla vicinanza dei cittadini».

Dalla sua, Guerra può contare su un vento positivo ma non tanto da promuoverlo al primo turno: sondaggi in crescita, ma con una forbice sopra al 40 per cento al primo turno, e la campagna è ancora lunga. Anche perché, anche a sinistra, l’assiepamento di candidati minori è folto. Intanto, lui che di professione fa il professore universitario e non ha esperienza di sezioni di partito, ha iniziato a prendere gusto alla campagna elettorale. La sera dibattito dal vivo per un magazine locale, poi via in motorino ad ascoltare l’ex governatore della regione, Vasco Errani, a un evento di Sinistra coraggiosa.

Nel mezzo telefonate, volantini da stampare e le ultime convergenze per il programma di coalizione: i partiti hanno ottenuto di integrare il programma del candidato con loro specifici focus, mossa utile soprattutto al Pd per convincere la base politicamente più ortodossa. «Ognuno porta la sua peculiarità nel programma, serve per parlare meglio al nostro elettorato», taglia corto lui. Poi snocciola le sue proposte: una sera al mese di ascolto in ognuno dei 13 quartieri, ancora più welfare per far fronte agli effetti della pandemia e vigili di quartiere per rispondere all’insicurezza percepita in alcuni punti della città. Anche se, passeggiando per le vie di Parma, la percezione è quella della tipica città emiliana: ricca, ordinata e orgogliosa delle sue tradizioni.

Il caso Parma

Nel caso di Parma, però, le peculiarità storiche rispetto alla regione sono vere, più che percepite. Unica città bianca nell’Emilia rossa delle cooperative, Parma si è sempre sentita la città dei brand – dalla Barilla alla Parmalat – più che terra di manifatture come Modena: più vicina alla Milano da bere che a Bologna. Governata per vent’anni da quel che rimaneva della Democrazia cristiana poi confluita nel centrodestra.

Assurta a modello gestionale negativo dieci anni fa, con un debito da 850 milioni di euro, un sindaco arrestato (Vignali, il competitor di Guerra, i cui processi si sono conclusi con un patteggiamento a due anni per peculato e corruzione, assolto per gli altri reati) e il comune commissariato. Qui la prima ondata del populismo ha invaso piazza della Pace con 10mila persone ad applaudire Beppe Grillo, portando un informatico di nome Federico Pizzarotti a diventare sindaco e uno dei volti più significativi del Movimento. Infine, la rottura con i vertici grillini e l’addio, la nuova candidatura e la vittoria autonoma con la lista civica Effetto Parma.

«Pizzarotti ha fatto un lavoro che non si può non riconoscergli: ha preso un comune commissariato e ha ridotto i debiti a 250 milioni, ha normalizzato la città», dice Guerra. Anche se, dopo le due vittorie del 2012 e 2017, l’astro di Pizzarotti sembra ormai in declino, almeno a livello cittadino. Lui spera ora in una collocazione nazionale, forte anche della sua grande riconoscibilità anche oltre i confini emiliani. Intanto però Effetto Parma – che sostiene Guerra – è passata dal 34 per cento a percentuali molto inferiori, secondo i sondaggi. Del Movimento 5 stelle, invece, in città non è rimasto nulla: non presentano candidati né liste.

Il feeling con Bonaccini

Un altro dei temi caldi in campagna elettorale è il rapporto con la regione. Parma si è sempre sentita bistrattata: prima l’ormai famigerato inceneritore, che Pizzarotti aveva promesso di non accendere ma che poi ha dovuto accettare perché la decisione non spettava al comune.

Oggi è l’aeroporto: il piccolo scalo Verdi sarà allargato con la volontà dei gestori di trasformarlo in un hub per il trasporto. Proprio questo è uno dei punti di scontro, con gli oppositori al progetto dietro lo slogan “No cargo”. Guerra spiega la propria posizione: «Puntiamo a renderlo uno scalo passeggeri che arricchisca la città e non un’infrastruttura per le merci».

Ecco allora che il rapporto con la regione è fondamentale: «Parma decide per Parma», dice in un sussulto di campanilismo che però rispecchia il clima, «con Bonaccini parlo, ne ho grande stima e mi confronto. La città deve fare rete con la regione e anche con Roma, anche in questo saremo una giunta radicata nel centrosinistra». Forse questa è la discontinuità di Guerra: portare Parma, dopo trent’anni, al centro di un discorso nazionale.

Bonaccini non ha mai fatto mistero di puntare su di lui e il 16 maggio arriverà il segretario dem, Enrico Letta, che qui proverà a dare forma al suo campo largo. Guerra li accoglierà, ma con attenzione: una parte dell’elettorato a cui punta non ama i cappelli politici e lui per primo proverà a mantenere la sua identità civica. Questa è una delle accuse che gli muovono: non sbilanciarsi. Ovvero, di non venire dalla tradizione politica della sinistra emiliana. Guerra se ne cura poco, dice di aver sempre votato centrosinistra e tanto basti. Per Parma, sembra già molto.

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