Dopo quella di Milano , all'Istituto Cattaneo abbiamo ricostruito la storia elettorale recente di Torino , attraverso le mappe che riflettono i cambiamenti nell'equilibrio tra le due principali macroaree politiche (centrosinistra versus centrodestra) e le trasformazioni della composizione sociale dei due elettorati. Oltre a Rinaldo Vignati, all'analisi ha collaborato Giovanni Semi, sociologo torinese che da molto tempo studia la città e la sua struttura urbana. Come di consueto, tutte le informazioni sul metodo seguito e il rapporto completo sono su www.cattaneo.org .

Feudo rosso

mappe vassallo torino

Le elezioni comunali del capoluogo piemontese, dacché l'elezione diretta del sindaco, con la sola eccezione del 2016, sono sempre state appannaggio del candidato del centrosinistra. Questo, però, non significa che l'area di centrosinistra sia sempre stata nel suo complesso maggioritaria tra gli elettori. Nel 1997, ad esempio, il centrodestra raccolse, nel complesso, una quota di consensi maggiore ma quell'anno la coalizione formata da Forza Italia e Alleanza nazionale correva separatamente rispetto alla Lega, mentre altre piccole formazioni di destra raccolsero qualche briciola di consenso.

Il candidato di FI e An, Raffaele Costa, pur ottenendo una netta maggioranza relativa al primo turno (otto di vantaggio su Valentino Castellani), perse, di stretta misura, al ballottaggio. Una dinamica simile, a parti parzialmente invertite, si è verificata nel 2016. Il M5s aveva già ottenuto un notevole successo al primo turno, rimanendo però di dieci punti percentuali dietro alla coalizione di centrosinistra. Chiara Appendino si affermò al secondo turno, battendo il sindaco uscente Piero Fassino grazie a un meccanismo verificatosi in varie città in quegli anni, a cominciare dalla vittoria di Pizzarotti a Parma nel 2012. Sulla candidata grillina confluirono i voti di una buona parte dell'elettorato di centrodestra oltre che di un elettorato variamente collocato desideroso di un cambiamento, consentendole il sorpasso.

La tre fasi

Tenuto conto di questo – ossia che il risultato delle singole consultazioni amministrative risente delle candidature e delle alleanze contingenti – se consideriamo la distribuzione dei consensi elettorali tra le principali aree politiche dal 1994 a oggi, si possono individuare sostanzialmente tre fasi.

Il 1993 fa un po’ storia a sé, in quanto in quell’anno, il grande successo mietuto in generale della Lega nel nord, ancora non alleata con altre forze di centrodestra, non fu sufficiente a Torino (al contrario che a Milano) per rendere il suo candidato a sindaco competitivo. La fase che va dal 1994 al 2001 vede centrodestra e centrosinistra sostanzialmente in equilibrio, con la prevalenza, di volta in volta, dell’una o dell’altra area politica nell’elettorato. Dal 2004 al 2011 in quasi tutte le elezioni i partiti di centrosinistra ottengono, complessivamente, una percentuale di voti superiore alla maggioranza assoluta. Dal 2013 al 2019, con l’ingresso prepotente del M5s, la struttura diventa tripolare, il centrosinistra perde la maggioranza assoluta ma rimane il polo più consistente.

Anche di Torino si può dire – come di Milano rispetto alla Lombardia – che non rappresenta il Piemonte. Torino rimane, elettoralmente, un’anomalia all’interno della regione di cui è capoluogo. A parte poche altre eccezioni, al contrario che a Torino, la prevalenza elettorale del centrodestra, misurata delle europee del 2019, è netta. Partendo dal capoluogo e spostandosi verso gli altri comuni ad alta urbanizzazione, passando per comuni con caratteristiche intermedie, e arrivando infine alle aree rurali, i consensi dell’area di sinistra e centrosinistra diminuiscono drasticamente: dal 43 per cento di Torino si arriva al 24 per cento delle aree rurali, con un risultato complessivo regionale del 31 per cento. Per l’area di centrodestra l’andamento è opposto: dal 40,3 per cento del capoluogo si arriva al 61 per cento delle aree rurali, con un risultato regionale del 52 per cento.

La struttura della città

La struttura urbana e sociale della città è piuttosto semplice. Si articola in quattro grandi aree. Il centro (che coincide con la prima circoscrizione) e l’area collinare (la parte orientale della città, circoscrizioni 7 e 8) sono caratterizzate dai livelli più elevati di benessere, istruzione e del valore medio degli immobili. Il maggior disagio si osserva invece nella cosiddetta “periferia nord” (circoscrizioni 5 e 6) che ha sofferto in maniera assai più drammatica il processo di deindustrializzazione della città rispetto alla “periferia sud” (circoscrizioni 2, 3 e 4), dopo essere state storicamente caratterizzate entrambe dalla prevalenza di insediamenti operai.

La periferia sud, dominata dalla presenza degli stabilimenti Fiat di Lingotto e Mirafiori, ha visto ingenti investimenti pubblici e privati che hanno consentito la trasformazione e il riuso di quegli spazi per attività del terziario e della cultura, hanno mobilitato in via indiretta ulteriori risorse economiche, valorizzato il patrimonio immobiliare, attratto persone con livelli di istruzione, occupazione e reddito medio-alti. Allo stesso tempo, a partire dall’inizio degli anni Ottanta, il centro è stato riqualificato, il patrimonio edilizio si è ulteriormente apprezzato, ed è tornato a essere attrattivo per le fasce sociali più benestanti. La periferia nord ha invece subito passivamente il processo di deindustrializzazione e si trova oggi in un condizioni in cui più evidenti sono i segni del disagio socioeconomico. Gli immigrati meridionali che erano arrivati in quell’area come operai in varie ondate fino agli anni Settanta del secolo scorso, si sono ritrovati a condividerla con le nuove ondate della immigrazione straniera più marginale, a loro volta spinte in quei territori per effetto dei processi di espulsione legati alla rivalutazione del centro storico: nella periferia nord tutto ciò ha generato effetti di ulteriore degrado (reale o percepito) insieme a una significativa riduzione del valore degli immobili.

L’inversione delle classi

Ebbene, se si mettono a confronto la mappa delle elezioni per il parlamento europeo del 1999 e del 2019, si vede chiaramente un cambiamento abbastanza netto. Nella prima l’area di sinistra appare ancora prevalente in tutte e due le periferie industriali-operaie. L’unica non causale eccezione è costituita dalla zona statistica numero 76 (in alto al centro), corrispondente alla borgata Villaretto, l’unica area rurale della città. Il centrodestra prevale nella zona centrale e in quella collinare. Con maggiore o minore intensità lo stesso pattern si trova in tutte le elezioni successive fino al 2013. Dal 2014 al 2016, nel periodo del grande successo del Pd a guida Renzi, la città si colora intensamente di rosso. Dal 2018 ritornano l’azzurro e il blu e così, arrivando al 2019 si nota che si è verificata una vera e propria inversione rispetto al 1999: ora è nelle aree collinari e del centro che è più probabile trovare una prevalenza del centrosinistra, mentre nelle due periferie prevale più spesso il centrodestra. E questo vale in particolare per la periferia nord, dove tale prevalenza è netta.

Se, alla fine, l’alleanza tra Pd e M5s (a oggi, a Torino, tutt’altro che scontata) prendesse in qualche modo forma, al secondo turno delle amministrative, Torino tornerebbe a diventare una città non contendibile per il centrodestra. Poiché i Cinque stelle sono rimasti più forti nelle periferie, risulterebbe anche attenuata (seppure se non ribaltata) la “divisione di classe invertita”. Vedremo.

 

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