Torino avrebbe dovuto essere una partita facile per il centrodestra e fino a pochi mesi fa una vittoria al primo turno sembrava un esito se non probabile, almeno possibile. Arrivati a ridosso del voto, però, il candidato del Pd Stefano Lo Russo ha accorciato la sua distanza con il rivale di centrodestra, l’imprenditore Paolo Damilano, portandolo entro il margine d’errore dei sondaggi.

Nel frattempo, il Movimento 5 stelle in profonda crisi ha ancora abbastanza voti, intorno al 10 per cento, da essere determinante al ballottaggio. In una posizione simile si trova anche la sinistra radicale fuori dal Pd, che candida lo storico Angelo d’Orsi.

La sindaca uscente

Nel 2016, Chiara Appendino, 37 anni, aveva vinto a sorpresa le elezioni comunali con un messaggio netto sul conflitto tra centro e periferia. Una volta eletta, però, ha governato in modo pragmatico e in linea con i suoi predecessori. Ha dato la priorità al ripianamento del debito, si è concentrata sulla vendita del patrimonio pubblico, sul taglio dei servizi e sull’organizzazione di grandi eventi.

Una continuità rappresentata simbolicamente dalla collaborazione con Sergio Chiamparino, ex sindaco di Torino e fino al 2019 presidente Pd della regione Piemonte.

La ricandidatura di Appendino è stata bloccata da due condanne in primo grado. Una per falso ideologico in una complicata vicenda di debiti comunali e una a 18 mesi per l’incidente di piazza San Carlo, quando tre persone sono rimaste uccise in un calca durante la proiezione pubblica di una partita di calcio.

In base allo statuto del Movimento, queste due condanna le impediscono la ricandidatura. La leadership del Movimento 5 stelle le ha chiesto più volte di ripensarci, ma Appendino è rimasta ferma nella sua decisione di rispettare lo statuto senza chiedere deroghe.

Il Movimento lacerato

Il ritiro della candidatura di Appendino e lo scontro esploso all’inizio dell’estate tra Beppe Grillo e il leader in pectore Giuseppe Conte hanno gettato il Movimento torinese nel caos. Due nomi sono emersi come possibili successori di Appendino: Valentina Sganga e Andrea Russi.

La vittoria nelle primarie online del Movimento è andata alla prima. Sganga, 35 anni, è capogruppo del M5s in consiglio comunale, ha un orientamento di sinistra ed è aperta all’idea di sostenere il candidato di centrosinistra almeno al secondo turno.

II rivale sconfitto, Russi, 38 anni, era più vicino alla destra, ha buoni rapporti con gli ambulanti e con alcune figure dei “gilet gialli” italiani. Russi era sostenuto da Laura Castelli, viceministro dell’Economia, e dalla stessa Appendino. Alle votazioni online hanno partecipato appena 700 persone, una dimostrazione di quanto gli attivisti cittadini siano disillusi dal partito.

Sull’appoggio al centrosinistra, Sganga la pensa all’opposto di Appendino, ma per il resto segue le orme della sindaca uscente, soprattutto per quanto riguarda le politiche dei grandi eventi. A proposito degli Atp di tennis, un prestigioso torneo che si disputerà a Torino a novembre, ha invitato tutti i torinesi a vaccinarsi per permettere all’evento di svolgersi senza problemi. «Chi si oppone agli Atp si oppone al lavoro», ha detto. Si tratta di una dichiarazione significativa per una candidata sindaca di una città dove i contrari al vaccino sono storicamente molto forti e dove, per lungo tempo, hanno votato soprattutto il suo partito.

Il tranquillo imprenditore

Storia diametralmente opposta quella del centrodestra, dove l’imprenditore Paolo Damilano è riuscito a imporsi come candidato della coalizione Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia dopo un anno di sapiente campagna elettorale.

Nato nel 1965, attivo nel settore dell'acqua e della ristorazione (Valmora è il marchio più noto a Torino, e non solo, a lui riconducibile). È presidente di Film Commission Piemonte nonché del Museo Nazionale del Cinema, uno dei gioielli della nuova Torino.

Anche se è dato in quota Lega, Damilano è un moderato con un programma molto simile a quello del centrosinistra, con qualche accenno in più ai temi della sicurezza e in meno su diritti e accoglienza, ma i toni più grevi li lascia ai suoi alleati di coalizione. Il suo principale sponsor è Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo economico e figura di riferimento della Lega di governo.

Damilano e il centrodestra puntavano alla vittoria al primo turno, ma visti gli ultimi sondaggi, un’immediata e netta vittoria sembra complicata e lo scenario più probabile è un ballottaggio con il candidato del centrosinistra.

Lo Russo, il competente

Per riprendere la guida della città il centrosinistra ha scelto con le primarie Stefano Lo Russo, 45 anni, docente del Politecnico di Torino e assessore all’Urbanistica del sindaco Pd Piero Fassino. È nato e vive a Santa Rita, un quartiere di impiegati Fiat e piccoli commercianti.

Descritto come mite, riservato e soprattutto competente, Lo Russo è una figura che piace molto nel partito e alle élite cittadine. Per questa ragione è stato accusato di essere il candidato dei “signori delle tessere” che controllano il Pd cittadino. Proviene da ambienti cattolici e soprattutto sui temi della sicurezza viene accusato di avere posizioni di destra.

In città, Lo Russo è uno dei più acerrimi rivali di Appendino. Nel 2018 è stato lui a fare l’esposto che ha poi portato alla condanna della sindaca nel processo Ream. Nonostante gli inviti del partito romano, Lo Russo è riuscito a bloccare l’alleanza con il Movimento.

Il suo programma è simile a quello di Damilano e come lui è favorevole alla Torino-Lione, ma senza entusiasmo. Nel corso della campagna elettorale Lo Russo è riuscito ad alterare i pronostici.

Anche grazie a una campagna elettorale capillare sul territorio, che lo ha portato a battere le aree più periferiche, esponendosi anche a numerose contestazioni, il centrosinistra ha recuperato gran parte del suo svantaggio. Ora Lo Russo è dato a pochissima distanza da Damilano. La sua speranza è ricevere al secondo turno il voto della sinistra fuori dal Pd e quello del Movimento 5 stelle, anche senza l’appoggio esplicito di Appendino.

La città

Lo sfondo di questa campagna elettorale è una città in declino, dove la de-industrializzazione e la terziarizzazione dell’economia hanno lasciato profonde ferite. Se gli impianti Fiat una volta occupavano fino a 70mila persone, oggi la loro forza lavoro è ridotta a meno di un quarto.

Negli ultimi mesi, le prospettive industriali della città sono ulteriormente peggiorate, con la perdita della fabbrica di batterie promessa da Stellantis e con il forte rischio di perdere altri due grossi investimenti (Intel ed Embraco). L’emorragia occupazionale è stata tamponata dagli investimenti in infrastrutture, dai grandi eventi e dalla rinascita della città d’arte e del turismo.

L’occupazione generata, però, è di solito precaria e poco pagata. Le periferie si sono così riempite di figli di operai senza grandi prospettive occupazionali a lungo termine, spesso impegnati in una guerra tra poveri con gli stranieri che vivono negli stessi quartieri . Alla città, rimane una massiccia rendita interna maturata negli anni del boom industriale che alimenta il consumo di sussistenza.

C’è poi la rendita esterna, generata dai circa 50mila studenti fuori sede che frequentano l’università di Torino. Il prezzo medio di una camera a Torino per uno studente è pari a 350 euro: un costo modesto che, unito alla qualità dell’offerta formativa, rende molto attrattiva la città. Tale condizione è stata anch'essa colpita duramente dalla crisi sanitaria che ha disseccato un massiccio flusso di capitale in arrivo da tutto il mondo.

In questo contesto, una politica sostanzialmente priva di risorse non ha grandi ricette da proporre. E questo si ritrova nella campagna elettorale per le amministrative.

Non si sono viste grandi idee o proposte. Sulle poche in campo, dal tentativo di salvare gli investimenti che si allontanano fino alle candidature ai vari eventi internazionali, l’unanimità tra candidati è pressoché totale.

© Riproduzione riservata