Allo stadio di proposte appena abbozzate e gridate, è difficile valutare oggi, con un minimo di rigore, quali misure nel programma del centrodestra potrebbero essere incostituzionali o meno. D’altra parte si tratta di una valutazione che potrà essere compiuta in modo qualificato solo dalla Corte costituzionale. Qualcosa, tuttavia, merita di essere chiarito già ora.

A suo tempo sarà la Corte a valutare la conformità ai precetti costituzionali, eppure la Costituzione non è solo una raccolta di precetti. È, forse anzitutto, una condivisione di valori che si intende, in qualche modo, sottrarre al mutare degli equilibri politici. Con la conseguenza che una misura può rispettare formalmente tutti e singoli i precetti della Carta costituzionale, ma comunque essere contraria ai valori che essa propone.

Muovendoci sul terreno delle opinioni (tutte lecite, ma – sia consentito – alcune più qualificate di altre), sono molti i punti del programma di centrodestra contrari ai valori costituzionali, o che almeno rischiano di esserlo.

La flat tax

Partiamo dalla più semplice: la flat tax. Anche facendo salvo il principio di progressività, che forse riguarda il sistema tributario nel suo complesso e non ogni singola imposta, un’applicazione dell’aliquota unica generalizzata come quella proposta stride fortemente con l’eguaglianza in senso sostanziale, per cui vanno rimossi «gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana» (articolo 3).

Perché, per rimuovere gli ostacoli economici e sociali che limitano l’eguaglianza, tu non devi togliere a tutti lo stesso: così fai tutti più poveri, o meno ricchi, ma le disuguaglianze restano le stesse. Piuttosto devi togliere di più a chi ha di più, e di meno a chi ha di meno. Progressività, appunto: più hai, più contribuisci.

L’elezione del capo dello stato

C’è poi l’altro cavallo di battaglia: l’elezione diretta del presidente della Repubblica. Bisognerà vedere cosa si inventeranno, ma anche quello, se non si sta attenti, rischia di essere contrario allo spirito della Costituzione. (Sì, anche una modifica della Costituzione può essere dichiarata incostituzionale, se è contraria ai princìpi supremi e diritti inviolabili dell’ordinamento).

La proposta presentata da Giorgia Meloni nel 2018, ad esempio, qualche perplessità la destava. Perché tu non puoi fare del presidente della Repubblica un organo governante – dunque tutto politico –, e continuare ad esempio a fargli presiedere il Consiglio superiore della magistratura, che garantisce l’indipendenza dei giudici.

Ad aver tempo di potenziali dissonanze coi valori costituzionali se ne trovano anche altre. Ne segnalo due, assumendomi tutta la responsabilità di quanto mi arrischio a sostenere.

Il primo. Il programma del centrodestra prevede di «rivedere in senso meritocratico il percorso di studio», e viene da pensare che su un sistema meritocratico sarebbero impiantate anche le nuove borse di studio promesse. Ma il merito, da solo, non basta.

Non c’è nulla più contrario al valore costituzionale della solidarietà di un sistema basato sul solo merito. E non c’è nulla che abbia avvelenato di più la nostra società, negli ultimi tempi, come l’etica meritocratica, con quelli che Michael J. Sandel, in La tirannia del merito, chiama con stile «gli atteggiamenti moralmente poco attraenti» che essa promuove.

Il vertice lo tocca l’ultimo paragrafo del programma di Meloni & co.: “Introduzione di borse di studio universitarie per meriti sportivi” (sic!). È proprio questo il punto: come se i meriti – sportivi e non – dipendessero tutti dallo sforzo di ciascuno, e non anche da quanto sei alto, da che corporatura, qualità, carattere hai, da quanto hai potuto spendere per formarti e allenarti. Se quello che ottengo è tutto merito mio e non anche della mia fortuna e dell’aiuto di tanti, che spazio rimane per la solidarietà?

Il tema della famiglia

Il secondo tema, invece, è l’ossessione di certa destra per la famiglia – quella cosiddetta tradizionale, ça va sans dire. Qui forse è il caso di dirselo chiaramente, con meno remore di quando la famiglia era la principale agenzia assicurativa in Italia – altri tempi. È vero: la Costituzione afferma «i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio» (articolo 29).

Non è possibile, tuttavia, dedurre da qui una priorità assoluta della famiglia rispetto all’individuo o rispetto anche ad altre formazioni sociali in cui l’individuo sceglie di realizzarsi.

Bisogna sapere tutti gli articoli della Costituzione. E allora c’è prima l’articolo 2: «La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità». Tra queste formazioni sociali c’è anche, ma non solo, la famiglia – e peraltro, tutte le famiglie, anche quelle “nuove”, che non nascono dal matrimonio.

Ne deriva che legare il riconoscimento di alcuni diritti o l’attribuzione di determinate misure sociali esclusivamente alla famiglia cosiddetta tradizionale rischia di violare il principio pluralista dell’articolo 2. Non si capisce, ad esempio, perché prevedere «agevolazioni per l’accesso al mutuo per l’acquisto della prima casa per le giovani coppie» e non anche a chi, pur giovane, in coppia non è.

I rischi per la Costituzione, insomma, ci sono eccome. Che poi, a guardar bene, sono rischi per noi, perché la Costituzione a questo serve: a difendere noi. Se solo lo imparassimo.

© Riproduzione riservata