Una grande manovra sì, ma di distrazione da parte del governo. Le furibonde liti sulla legge di Bilancio si sono chiuse con delle bandierine piazzate qua e là. La conferma arriva dal testo, composto da 109 articoli, che in serata è stato trasmesso al parlamento.

La Lega con Matteo Salvini aveva portato a casa la (quasi) conferma di quota 103, seppure nella nuova versione penalizzante rispetto a quella in vigore. E Forza Italia ha ottenuto lo strapuntino sulla piccola battaglia di retrovia della cedolare secca sugli affitti brevi. Una girandola che ha spostato l’attenzione da un provvedimento fatto in deficit per gran parte. E che si limita a mettere qualche toppa, che sottrae risorse - tra le varie cose - anche alla disabilità. La certezza è che i parlamentari di maggioranza dovranno mandare già l’amaro calice della legge di Bilancio 2024: non potranno presentare gli emendamenti dopo il diktat dei leader di partito.

A firmare la metaforica resa è stato il capogruppo di Fi, Paolo Barelli, esponente del partito che sembrava più barricadero: la mancata presentazione di emendamenti «non è un fatto solo di immagine ma anche di sostanza verso i mercati», ha detto. L’ennesimo schiaffo alle Camere, rifilato tra i mugugni nei corridoi parlamentari. Per placare gli animi i capigruppo hanno garantito una possibilità di intervento su altri provvedimenti. «Come ci presentiamo sui territori se non possiamo nemmeno parlare del deposito di qualche proposta per i nostri collegi?», è il ragionamento che rimbalza con preoccupazione tra chi ha un effettivo legame con gli elettori.

Bullismo istituzionale

La decisione di blindare il testo è una prova muscolare che palesa d'altra parte la debolezza della maggioranza. La diffidenza verso gli eletti in parlamento spinge ad ammutolire tutti. Succede con le questioni di fiducia poste in serie, come avvenuto per il decreto Mezzogiorno (votata ieri alla Camera) e per il decreto Caivano (licenziato la scorsa settimana al Senato). La mossa sulla manovra rappresenta, secondo la definizione dell’ex presidente di Montecitorio, Roberto Fico, «un atto di bullismo istituzionale contrario alle regole democratiche del nostro Paese».

Non è mancata la comunicazione-beffa per i parlamentari. «Il governo terrà conto con grande attenzione del dibattito parlamentare e delle considerazioni delle forze di maggioranza ed opposizione­­», ha fatto sapere Palazzo Chigi in mattinata. Un messaggio al limite della derisione.

Durante il vertice di maggioranza sulla manovra economica, il clima non era quello della «compattezza» rimarcato a reti unificate. Non sono volati stracci, non ci sono stati battibecchi. Ma la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha chiesto di procedere tutti insieme senza fare polemiche. Un monito per il futuro e allo stesso tempo un messaggio per quanto accaduto nei giorni scorsi quando gli animi si erano surriscaldati. Il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, ha superato lo stress test della scorsa settimana, ricordando a tutti che il provvedimento è in linea con le richieste dell’Unione europea. E, secondo quanto viene riferito, il numero uno del Mef è sicuro di una buona risposta dei mercati.

Manovra breve

La riunione si è chiusa con il bollino apposto sui contenuti limati al massimo e l'accordo al ribasso pure sulla cedolare secca per gli affitti brevi. Forza Italia può sostenere di aver ottenuto il minimo sindacale, il segretario Antonio Tajani si è presentato davanti ai dirigenti del suo partito all’urlo di «siamo soddisfatti» e con la promessa che in futuro saranno ridotte le tasse sulla casa. Nell’attesa di queste novità lanciate in avanti nel tempo, le uniche certezze sono pannicelli caldi come il codice identificativo per gli immobili da destinare all’affitto. L’aliquota, poi, passerà dal 21 al 26 per cento per la seconda casa che sarà messa in affitto, per la prima non ci sarà alcun balzello. La stima – alquanto ottimistica – parla di un gettito possibile di circa un miliardo di euro da questa misura.

Con lo stop a qualsiasi modifica al testo, la legge di Bilancio dovrebbe procedere spedita, anche perché sarà esaminata dal Senato in prima lettura. Il regolamento di Palazzo Madama consente di accelerare i tempi e chiudere la partita entro la prima metà di dicembre, come hanno promesso Meloni e Giorgetti. Insomma, la partita viene chiusa prima di cominciare secondo la linea governativa. «Non c'è ancora un testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale e già si annuncia che ai deputati e senatori di maggioranza non presenteranno emendamenti­», osserva il deputato del Pd, Federico Fornaro. Ultima forzatura di uno stravolgimento istituzionale strisciante.

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