Pazza idea: nominare il generale-scrittore Roberto Vannacci come commissario straordinario di Caivano. La suggestione sarebbe nata a palazzo Chigi – come hanno riferito fonti qualificate a Domani – proprio nei giorni di massima tensione tra Vannacci e il ministero della Difesa. Quando la premier Giorgia Meloni si è recata nel comune alle porte di Napoli dopo le notizie sullo stupro di due cuginette minorenni.

L’idea della promozione del generale è del duo Fazzolari-Meloni. Un’intuizione che si è scontrata con un doppio muro: il no categorico del ministero guidato da Guido Crosetto e quello altrettanto duro del Viminale timonato da Matteo Piantedosi. Non a caso il decreto Caivano del 7 settembre ha individuato per il ruolo un profilo decisamente meno mediatico e controverso come quello di Fabio Ciciliano, dirigente medico della Polizia.

Il caso delle violenze al parco Verde di Caivano è emerso il 25 agosto. Gli stupri avvenuti nel comune campano erano solo gli ultimi di una serie di casi simili, tutti con il comune denominatore della violenza di gruppo contro donne o ragazzine avvenuta nelle periferie urbane di grandi città.

Da una settimana, però, il dibattito pubblico era occupato dalle polemiche attorno al libro Il mondo al contrario, autopubblicato su Amazon dal generale Vannacci. Le opposizioni attaccavano da sinistra. Il ministro Crosetto, per difendere l’immagine dell’esercito, aveva richiamato il generale agli obblighi di imparzialità propri di chi indossa la divisa. Ma da destra non tutti condividevano quella posizione. Anzi, i messaggi di sostegno e condivisione del punto di vista estremo di Vannacci, anti-gay e contro i migranti, si moltiplicavano col passare dei giorni.

In questo clima il governo Meloni si trovava a riprendere i lavori dopo la sospensione estiva: con la tempesta perfetta di un militare che lanciava un messaggio forte e potenzialmente affine all’elettorato vicino all’estrema destra e il riesplodere della cosiddetta emergenza sicurezza sulla scia di una terribile violenza.

La mossa di Meloni

A mano a mano che la fama di Vannacci aumentava, cresceva anche la competizione intestina dentro il centrodestra, tanto da accendere un campanello d’allarme in casa FdI. Se il ministro Crosetto si era subito esposto per arginare e prendere le distanze dal generale («le sue sono farneticazioni», disse pur senza entrare nelle scontro politico), la Lega di Matteo Salvini aveva invece immediatamente sposato le posizioni di Vannacci, lasciando addirittura intrevedere la possibilità di candidarlo alle europee.

«Non chiudo le porte a niente», aveva da subito detto in modo sibillino il generale. Nel frattempo le vendite del libro continuavano a crescere insieme al numero di interviste e alle polemiche ogni volta che veniva organizzata una presentazione.

Anche nel mondo a destra di Meloni gli estimatori si stavano moltiplicando. In prima fila l’ex sindaco di Roma, Gianni Alemanno, impegnato a compattare l’elettorato più estremo, critico rispetto alla linea “morbida” della premier, considerata un tradimento rispetto alle promesse di campagna elettorale.

Proprio mentre era in corso questo doppio assalto al bacino elettorale di FdI – con conseguente preoccupazione dei vertici – a Fazzolari e Meloni, costretta al silenzio dal suo ruolo istituzionale ma in disaccordo con la linea prudente di Crosetto, è maturata l’idea di passare al contrattacco. Da un lato il responsabile dell’organizzazione, Giovanni Donzelli, interviene pubblicamente sul Corriere della Sera il giorno dopo Crosetto per dire che «in un mondo libero si scrive ciò che si pensa». Dall’altro palazzo Chigi ipotizza di recuperare Vannacci alla causa di FdI nominandolo commissario per l’emergenza sicurezza a Caivano.

L’obiettivo principale è politico: sottrarre il generale alla Lega per portarlo nel cerchio di influenza meloniano e recuperare così quota nell’elettorato storico di FdI, anche a costo di dare nuovo fiato alle polemiche e sbugiardare il proprio ministro della Difesa.

Ma il tentativo non ha potuto superare la netta contrarietà dei due ministeri sotto la cui sfera rientravano entrambe le questioni. Piantedosi ma soprattutto Crosetto avrebbero liquidato l’ipotesi come del tutto impercorribile. Arginando così palazzo Chigi, o forse salvandone la credibilità istituzionale.

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