Domani, 2 giugno, festeggiamo la nascita della Repubblica, riallacciando i fili della nostra memoria a 76 anni fa, quando i cittadini italiani vennero chiamati a esprimersi su quale forma di stato dare al paese, uscito da un ventennio di dittatura fascista e dalla Seconda guerra mondiale.

La democrazia repubblicana ritrova in quella data, oggi come allora, un ulteriore proprio momento fondante, poiché il 2 giugno 1946 il corpo elettorale fu chiamato a esprimersi anche sull’elezione dell’Assemblea costituente, dai cui lavori nascerà la Costituzione della Repubblica italiana. Dall’interno della temperie culturale scaturita dall’esperienza antifascista e resistenziale, germogliava dunque il testo del patto fondamentale fra i cittadini della nascente Repubblica, radicato su un umanesimo di matrice liberale, socialista e cristiana e sviluppato nel testo costituzionale attraverso un articolato sistema di garanzie, di tutele, di doveri e di diritti fondamentali della persona, inseriti entro una cornice equilibrata di poteri dello stato.

Le limitazioni di fatto della libertà e dell’uguaglianza dei cittadini causate da ostacoli di ordine economico e sociale, erano definite ostacoli da rimuovere. Una prerogativa della Repubblica che nasceva dall’idea che la storia fosse la progressiva realizzazione della libertà e che quest’ultima assieme all’uguaglianza dovesse concretarsi nel divenire e in una visione prospettivistica di progresso sociale.

Poteri reazionari

Nella nascente storia repubblicana tuttavia non tardarono ad appalesarsi fra il 2 giugno del 1946 e la data di entrata in vigore della Costituzione (1° gennaio 1948) poteri reazionari che non si riconoscevano nella democrazia e che fondavano il proprio agire sull’arbitrio e sulla violenza.

Un primo episodio di eccezionale gravità fu quello della strage di Portella della Ginestra (1° maggio 1947), ove trovarono la morte 11 persone e 30 rimasero gravemente ferite per mano del bandito e mafioso Salvatore Giuliano e dei suoi uomini. 

Questo primo episodio criminoso diede avvio a una scia di altri fatti di sangue, di carattere eversivo, nella Sicilia di quell’anno, mediante attentati e assalti a sedi delle leghe contadine e del Pci.

Nello stesso 1947 – apprenderemo da verbali e documenti scoperti e desecretati in anni recentissimi – un criminale di guerra del calibro di Karl Hass, responsabile della strage delle Fosse ardeatine e condannato per questa strage solo nel 1998, veniva assoldato all’interno del Counter Intelligence Corps statunitense e agiva con una propria rete di informatori in territorio italiano, con base operativa a Bolzano e in altri capoluoghi di provincia, in funzione anticomunista.

I condizionamenti

I percorsi carsici del condizionamento delle istituzioni repubblicane scavavano incessantemente una propria traiettoria, consegnando rendite di posizione e strumenti di ricatto nelle mani degli autori e dei mandanti di attentati alle istituzioni e stragi.

Attraverso il fenomeno criminoso della strategia della tensione, teorizzata in ambienti politico-militari e messa in pratica da gruppi neofascisti e neonazisti a partire dalla strage di Milano del 12 dicembre 1969, venivano così sacrificati su altari invisibili cittadini innocenti, magistrati che andavano in fondo nel compimento del proprio dovere e uomini delle forze dell’ordine fedeli alla Repubblica.

In questo passato recente di transizione democratica, anche il quadro istituzionale mostrava linee di continuità che vedevano ex funzionari del regime fascista occupare posti significativi all’interno delle istituzioni dello stato.

All’inizio degli anni Sessanta ad esempio 62 prefetti su 64 di prima classe, 64 su 64 di seconda classe, 241 viceprefetti su 241, sette ispettori generali su dieci, 135 Questori su 135, 139 vicequestori su 139 avevano mosso i primi passi della loro carriera sotto il regime fascista.

Le stragi, gli attentati alle istituzioni repubblicane e le attività eversive di realtà come la loggia massonica P2 o come le mafie fiancheggiate da parti delle istituzioni, si sono quindi susseguiti nel tempo, marcando col sangue la vita politica italiana e colpendo e ferendo nel profondo la democrazia.

Alleanze tra passato e presente

Gli accertamenti giudiziari oggi ci offrono tuttavia un quadro ricostruttivo assai più chiaro e ricco per comprendere la natura sistemica di fenomeni criminali che nel nostro paese hanno trovato spazio e complicità inconfessabili; enti come il Sid all’epoca della strage di Piazza Fontana o come il Sismi all’epoca della strage del 2 agosto 1980, funzionalmente costituiti per tutelare la sicurezza dello stato e dei cittadini, erano stati piegati da alcuni loro funzionari di vertice a fini opposti.

La caduta del muro di Berlino e l’apparente venir meno della conventio ad excludendum (il patto di esclusione del Pci dall’area di governo del paese), non significarono tuttavia la fine di questa strategia e delle sue metodiche.

Rimasero sulla scena attori protagonisti, manovali e utili figuranti di quella stagione. Nuove alleanze furono stipulate in un saldo rapporto fra passato e presente, riunite in un intreccio già costituito di interessi e di logiche di ricatto stabilizzanti.

L’utilizzo di azioni destabilizzanti la sicurezza pubblica, usate per stabilizzare il potere politico e condizionare lo sviluppo fisiologico della democrazia italiana era stato perfettamente compreso da Pier Paolo Pasolini.

Sulle colonne del Corriere della Sera il 14 novembre del 1974 col pezzo titolato “Che cos’è questo golpe?” (poi ribattezzato “Il romanzo delle stragi” in Scritti corsari), Pasolini dopo aver ripetuto il proprio atto di accusa ideale nei confronti degli autori dei golpe e delle stragi (l’io so, ma non ho le prove), muoveva un altrettanto ideale “mozione di sfiducia” nei confronti dell’intera classe politica italiana, scrivendo: «E lo faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi “formali” della democrazia, credo nel parlamento e credo nei partiti».

Aggiungeva subito dopo: «Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico – non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento – deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, ma su cui, a differenza di me, non può non avere prove o almeno indizi».

A tutto ciò faceva da contrappunto la riflessione corsara di Pasolini sul “nuovo modo di produzione” come capace di produrre nuovi rapporti sociali e la critica da egli svolta alla lettura separata dei fenomeni che attraversavano il paese negli anni Settanta.

Gli interventi dell’intellettuale bolognese, interrotti dal suo omicidio del novembre 1975, mettevano in guardia, sollecitavano domande, provocavano la coscienza civile, risvegliandola dal torpore: «Fin che non si sapranno tutte queste cose insieme – e la logica che le connette e le lega in un tutto unico non sarà lasciata alla sola fantasia dei moralisti – la coscienza politica degli italiani non potrà produrre nuova coscienza. Cioè l’Italia non potrà essere governata».

Il nuovo modo di produzione, sospinto da strategie di condizionamento politico, determinava così negli anni l’ingresso a grande velocità nella vita pubblica del paese e dei cittadini di nuovi modelli di alienante spettacolarizzazione e di consumo.

Le verità giudiziarie sui delitti più gravi della storia repubblicana pativano invece gli effetti di una lentezza, spesso causata da depistaggi e da meccanismi procedurali che non consentivano di aprire uno sguardo di insieme sui fenomeni.

Futuro repubblicano

Domani, giorno della festa della Repubblica, dobbiamo ricordare che tutto questo è già successo, ma non è confinato nella storia o in anni remoti. Piuttosto, il nostro presente è il risultato anche di quella stagione e siamo in condizione di vedere più nitidamente i fatti.

Alzando lo sguardo dalle carte, da documenti plumbei e riflettendo su quello che ci hanno raccontato, riprendiamo allora fra le mani il romanzo interrotto di Pasolini Petrolio.

L’attenzione cade sull’Appunto 3a. Il suo titolo Prefazione posticipata, comincia con un’immagine che ci piace pensare possa essere un auspicio per un futuro repubblicano da costruire sulla consapevolezza: «Era una giornata straordinariamente bella. Dopo quel passaggio di nuvole mitiche […] era tornato il sereno e il sole splendeva liberamente senza che nulla si frapponesse tra la città e la sua luce».

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