Nell’anniversario della nascita del partito di Almirante, la seconda carica dello Stato posta un video commemorativo: «Quegli uomini non si arresero». Lo sdegno del Pd: «Parole inaccettabili», «Un’offesa a quanti, militari, partigiani, civili, hanno sacrificato la loro vita per restituire all’Italia quella democrazia e quella libertà». Domani l’anniversario dell’eccidio dei fratelli Cervi, i sette contadini partigiani trucidati dai repubblichini di Salò
«Senza dimenticare la nostra storia», ammonisce dai social il presidente del Senato Ignazio La Russa. E chi se la dimentica, la storia del Movimento sociale, quello fondato da Almirante, il «fascista nella democrazia» (autodefinizione) che all’indomani della fine della guerra fonda il partito che si rifà direttamente al fascismo – che del resto aveva segnato la sua biografia – e che da lì in avanti combatte contro la Costituzione, nata appunto dalla Resistenza e dalla guerra di liberazione dal fascismo, e maltollera l’esistenza stessa della Repubblica, tanto che alcuni esponenti sono coinvolti nella stagione dell’eversione nera (per citare solo un esempio, Carlo Cicuttini, telefonista della strage di Peteano, del 1972, segretario della sezione Msi di Manzano, lo stesso Almirante viene rinviato a giudizio per favoreggiamento, ma viene poi amnistiato).
Il 26 dicembre scorso, in serata La Russa posta un video che celebra la nascita del Msi. «Era il 1946, il Natale era passato da un giorno, la guerra era finita da poco più di un anno e un gruppo di uomini - che erano sconfitti dalla storia, dalla guerra, nella loro militanza che era stata per l'Italia in guerra, l’Italia fascista - non si arresero, ma non chiesero neanche per un attimo di tornare indietro. E pensarono al futuro, non tentarono di sovvertire con la forza ciò che peraltro sarebbe stato impossibile sovvertire». Di quei fondatori, dice La Russa «scelsero come simbolo la fiamma. La fiamma tricolore, la fiamma con il verde, il bianco e il rosso». La conclusione è l’elogio della fiamma: «Sono passati molti anni, sono mutate moltissime cose, è maturata, migliorata, cambiata la visione degli uomini che si sono succeduti, che hanno raccolto il loro testimone, anche con fratture importanti nel modo di pensare, ma quel simbolo è rimasto, un simbolo di continuità e anche un simbolo di amore, di resilienza, si direbbe oggi, un simbolo che guarda all’Italia del domani e non a quella dell'ieri, senza dimenticare la nostra storia».
Il Pd: «Parole inaccettabili»
Il video non poteva passare inosservato. Anche perché a rivendicare, «bene o male» la «continuità» con quel 26 dicembre in cui nasceva un partito neofascista, non solo dopo la fine del regime ma anche dopo la tragedia della Repubblica di Salò, sotto l’obbedienza dei nazisti, è la seconda carica dello Stato. «Parole inaccettabili», accusa Andrea De Maria, deputato Pd, emiliano, «Nel momento in cui rivendica la scelta di chi, nella Repubblica Sociale Italiana, combattè con i nazisti, rendendosi responsabile di crimini e stragi contro i partigiani e la popolazione civile», «Lo dico da ex sindaco di Marzabotto: è importante unire tutta la comunità nazionale e tutte le forze politiche su valori condivisi. Ma quei valori non possono che essere quelli della Costituzione, nata dall’ antifascismo e dalla Resistenza».
Parole che peraltro cadono alla vigilia dell’82esimo anniversario dell’eccidio dei sette fratelli Cervi, i sette contadini antifascisti trucidati dai repubblichini a Reggio Emilia. Per Stefano Vaccari, anche lui deputato emiliano del Pd, «è vergognoso che si continuino ad offendere in questo modo quanti, militari, partigiani, civili, hanno combattuto e sacrificato la loro vita per restituire all’Italia quella democrazia e quella libertà che permette al presidente La Russa di parlare in modo ignobile rispetto al suo ruolo». Federico Fornaro, altro deputato dem, contesta La Russa “nel merito”: «Non è vero che i reduci di Salò guardavano avanti nel futuro. Al punto che inizialmente venne respinta l’iscrizione al Msi a quei fascisti “che avevano tradito la Patria” rompendo con Mussolini nel luglio del ‘43. La Russa, poi, dimentica che nel ‘46 sotto la fiamma tricolore era disegnato un trapezio allora identificato come la bara di Mussolini da cui si sprigionava, attraverso la fiamma, il messaggio eterno del fondatore del fascismo». E più in generale: «Dal presidente del Senato di una Repubblica antifascista ci si attenderebbe ben altra postura democratica, assai differente da quella orgogliosamente nostalgica di un simbolo che storicamente rappresenta il ‘cordone ombelicale’ con il fascismo repubblichino di cui ci dovrebbe vergognare pensando all’assistenza fornita dai militi della Rsi ai rastrellamenti e agli eccidi di migliaia di partigiani e civili da parte delle truppe d’occupazione nazifasciste».
© Riproduzione riservata


