«È la prima volta che su una serie di temi che noi abbiamo posto hanno formalmente dichiarato la disponibilità a confrontarsi. Finora non era mai successo». All’uscita dalla Sala Verde di palazzo Chigi Maurizio Landini segnala quello che ha tutta l’aria di un fatto nuovo. All’incontro fra governo e sindacati sulla sicurezza sul lavoro, convocato per un confronto sull’annuncio di un pacchetto di risorse alla vigilia del primo maggio, intanto la premier si è presentata, per giorni i suoi l’avevano escluso.

Ma soprattutto Giorgia Meloni ha ascoltato le richieste dei sindacati e ha risposto una «disponibilità» sui tanti temi pronunciati, soprattutto da Cgil e Uil: il superamento del subappalto, la formazione e valorizzazione dei rappresentanti alla sicurezza, la revisione della patente a punti, le risorse per più ispettori, il supporto alle famiglie delle vittime.

Non sono arrivati impegni concreti, ma la promessa di un tavolo al ministero del Lavoro. E qui c’è il secondo «fatto nuovo». La premier ha nominato un «consigliere per le tematiche afferenti ai rapporti con le parti sociali» che «si occuperà di gestire le relazioni ed effettuare incontri con i referenti delle organizzazioni sindacali e datoriali» e a «predisporre relazioni finalizzate alla preparazione» di questi confronti: Stefano Caldoro, già ministro di Berlusconi, già presidente della Campania e ora presidente del Nuovo Psi. Assume compiti di prassi della ministra del Lavoro, per questo è difficile non leggere la mossa come un commissariamento di Elvira Calderone.

Palazzo Chigi dunque cambia atteggiamento. Se cambia strada si vedrà, sicuramente cambia strategia comunicativa e mediatica. Landini lo riconosce: «Sarei uno sciocco se non cogliessi che è successa una cosa diversa da quello che è avvenuto fino ad ora». Certo, fin qui è solo un cambio «sulla carta»: il tavolo sulla sicurezza promesso non è ancora convocato.

Le risorse aggiuntive ieri promesse dal ministro Foti, provenienti dalla revisione del Pnrr, sono ancora vaghe e non quantificate. Ma è difficile non vedere le ragioni di quest’improvvisa voglia di dialogo da parte di governo che fin qui ha trascurato anche solo la buona creanza nelle relazioni con i sindacati, al netto dei minuetti cortesi con la Cisl.

Il voto contro il governo

Le ragioni sono evidenti: i morti sul lavoro sono una strage quotidiana, e non un argomento rubricabile come propaganda sindacale. Nel 2025 sono già in aumento rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, Cgil e Uil conducono una campagna battente sul tema, e al terzo anno di governo è complicato nascondere il fatto che l’esecutivo non ha combinato nulla. Ma soprattutto ci sono i referendum sindacali, l’8 e il 9 giugno.

Nella Sala Verde Landini lo ha detto: se il governo ha intenzioni serie, «a meno di un mezzo c’è un referendum che tra le altre cose affronta il tema di come si supera la logica del subappalto a cascata e come si qualifica l’impresa che decide di appaltare», insomma «Guardate che se vogliamo risolvere il problema abbiamo un referendum».

Ovviamente palazzo Chigi non cambia idea. Ma da quelle parti è scattato un allarme: la campagna astensionista della destra si può trasformare in un boomerang: trasforma il voto in un referendum contro il governo. Con la conseguenza che la contabilità dei votanti, anche senza raggiungere il quorum, finirebbe per essere il fronte dei cittadini contrari o delusi dalla destra.

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