Mentre il numero di migranti che arrivano in Italia ha superato quota 100mila, il ministero dell’Interno ha adottato una misura che lascia perplessi. Nei giorni scorsi, si è avuta notizia di una circolare con cui, il 7 agosto scorso, il Viminale ha chiesto ai prefetti di «disporre la cessazione delle misure di accoglienza per i soggetti che abbiano ottenuto il riconoscimento della protezione internazionale, anche nelle more della consegna del conseguente permesso di soggiorno».

In altre parole, coloro i quali siano stati giudicati come aventi diritto a protezione, ma non abbiano ancora ricevuto l’attestazione documentale di tale status – per motivi burocratici possono essere necessari molti mesi – dovranno lasciare le strutture nelle quali erano ospitati, finendo così in mezzo alla strada.

La decisione del ministero gudato da Matteo Piantedosi, oltre a porsi in contrasto con direttive europee recepite nell’ordinamento nazionale, rischia di avere nuivi impatti negativi, peggiori rispetto a quelli che stanno già stressando enti locali e comuni.

Il sistema di accoglienza

Per comprendere la portata della circolare, può essere utile qualche cenno all’attuale sistema di accoglienza dei migranti. Come spiega Openpolis, i cittadini stranieri soccorsi in mare vengono condotti in centri vicini alle aree di sbarco (hotspot) per l’identificazione e la raccolta di informazioni, anche su eventuali vulnerabilità. In tali sedi si dividono i richiedenti asilo dagli altri migranti (cosiddetti economici).

Questi ultimi vengono inviati ai Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr), in una situazione sostanzialmente equiparabile alla detenzione, o lasciati sul territorio in condizione di soggiorno irregolare. I richiedenti asilo, invece, sono trasferiti presso i centri governativi. Prima del cosiddetto decreto Cutro erano garantite funzioni di assistenza psicologica, di orientamento legale e al territorio, corsi di lingua italiana. Attualmente, oltre all’accoglienza materiale, c’è solo l’assistenza sanitaria, quella sociale e la mediazione linguistico-culturale.

I titolari di protezione, invece, sono allocati nel sistema di accoglienza e integrazione (Sai). Questo sistema si differenzia da quello denominato Sprar, che fino al 2018 prevedeva un’accoglienza diffusa e percorsi di integrazione anche per i richiedenti asilo, mentre è conforme al Siproimi, istituito con il primo decreto Sicurezza di Matteo Salvini, che aveva smantellato il sistema precedente. Il Sai riguarda solo chi sia già stato riconosciuto come avente diritto a protezione, oltre a minori stranieri non accompagnati, persone vulnerabili, chi arriva in Italia tramite “corridoi umanitari”, nonché ucraini e afghani. Nel Sai viene erogata assistenza materiale, legale, sanitaria e linguistica, e solo i titolari di protezione ricevono servizi di integrazione e orientamento lavorativo.

La circolare del Viminale

Con la nuova circolare del ministero dell’Interno, migliaia di persone riconosciute come destinatarie di tutela saranno private di ogni forma di assistenza. Ciò configura una violazione della legge. Da un lato, della cosiddetta direttiva “Accoglienza”, che definisce «il complesso delle misure garantite dagli Stati membri ai richiedenti asilo»: l’accoglienza può essere limitata solo nel caso in cui la persona disponga di mezzi economici adeguati alla propria sussistenza, cosa che evidentemente non è per i richiedenti asilo ai quali non sia stato rilasciato il documento attestante il titolo alla protezione. Dall’altro lato, della cosiddetta direttiva “Qualifiche” (2011/95/UE, attuata dal d.lgs. 18/2014), ai sensi della quale, al fine di facilitare l’inclusione dei beneficiari di protezione internazionale nella società, gli Stati membri garantiscono loro l’accesso ad adeguati programmi d’integrazione.

Nella circolare, il Viminale sottolinea «l’importanza della verifica dei requisiti per la permanenza dei beneficiari all’interno del sistema di accoglienza». L’obiettivo sembra essere, come si esplicita nello stesso documento, quello di «assicurare il turn over nelle strutture di accoglienza e garantire la disponibilità di soluzioni alloggiative» per i nuovi arrivi. In questo modo si lasciano in un limbo, in una zona grigia, coloro i quali siano stati giudicati come aventi diritto a protezione, ma non abbiano ricevuto l’atto che lo comprovi.

Questi immigrati sono privati dell’accoglienza prevista per i richiedenti asilo, in quanto hanno già superato positivamente la fase della richiesta, ma sono esclusi anche dal Sai, non avendo ancora ottenuto il documento che formalmente ne attesta il diritto. Il che è un assurdo, da un punto di vista giuridico e politico.

Gli impatti negativi

Il tavolo Asilo e Immigrazione (TAI), ha rivolto un appello al presidente della Repubblica e al governo, spiegando che con la circolare del 7 agosto «migliaia di persone titolari di diritti fondamentali e inviolabili vengano trasformate in “senza fissa dimora” e abbandonate per strada», mentre lo Stato dovrebbe garantire loro standard di vita adeguati e dignitosi. Invece, la circolare scarica il problema sui comuni, ove resterà chi rimane privo di accoglienza, e senza che a tali enti siano erogate risorse aggiuntive per farvi fronte. Può immaginarsi che ciò susciterà proteste da parte dei sindaci, come già avvenuto nelle settimane scorse, quando alcuni di essi hanno dovuto farsi carico di migranti inviati dalle prefetture senza un’adeguata organizzazione. Evidentemente, non basta il piano di riparto su tutto il territorio nazionale di 50mila richiedenti asilo, da realizzarsi tra il 1° luglio e il 15 settembre, che il commissario per l’emergenza migranti, Valerio Valenti, aveva trasmesso alle prefetture nelle settimane scorse. Piano che ha incluso anche le regioni (Emilia-Romagna, Toscana, Campania e Puglia) non firmatarie dell’intesa per la nomina del commissario stesso, dopo la delibera dello stato di emergenza. In conclusione, con la nuova circolare il governo favorisce presenza di immigrati nelle strade, in una condizione di marginalità e, quindi, di maggiore rischio di delinquere.

È quanto avevamo osservato anche dopo il decreto Cutro, che ha ridotto le ipotesi di protezione speciale, aumentando così il numero di coloro che non hanno alcun titolo al soggiorno in Italia, ma vi resteranno comunque arrangiandosi come possono per vivere.

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