Filippo Turetta è stato arrestato nei dintorni di Lipsia. Ex fidanzato di Giulia Cecchettin, è accusato di averla accoltellata venti volte e di averne gettato il corpo in un crepaccio vicino al lago di Barcis, in provincia di Pordenone. Poi ha guidato per una settimana puntando a nord, prima in Austria e poi in Germania, dove è stato fermato dalla polizia locale ed è in attesa di essere rimpatriato in Italia. Gli inquirenti ora stanno cercando indizi nel computer sequestrato del ragazzo, per valutare se ci sia stata anche premeditazione.

È l’ennesimo quanto tragicamente atteso epilogo del centocinquesimo femminicidio del 2023 in Italia, dopo una settimana di ricerche dei due ragazzi nella speranza di trovare Giulia ancora in vita. Anche in questo caso, come spesso accaduto in passato, di Turetta si è parlato di «bravo ragazzo» e proprio queste sono state le prime parole di rabbia usate da Elena, sorella di Giulia, che sui social ha scritto: «È stato il vostro bravo ragazzo». Poi ha attaccato il ministro Matteo Salvini, che nel canonico messaggio sul «carcere a vita», a insolitamente usato la presunzione di innocenza premettendo un «se colpevole». Cautela che difficilmente utilizza in caso di reati commessi da migranti e non da «ragazzi bianchi di buona famiglia», è l’affondo della ragazza. 

Il messaggio è rimbalzato dai social ai giornali e ha trovato eco soprattutto nelle tantissime donne che lo hanno ripetuto, imponendo alla politica di andare oltre le frasi di circostanza, per cercare strumenti nuovi di contrasto davanti all’orrore di un fenomeno che sembra incontrastabile.

Educare?

Fino ad oggi, l’unico strumento adottato dal governo Meloni è stato quello penale: aumento di pene e di misure di deterrenza per i reati considerati “spia” di una violenza che poi può trasformarsi in omicidio, rafforzamento del cosiddetto Codice rosso (un pacchetto di norme approvato nelle precedenti legislature per permettere un più rapido decorso di indagine e processuale per i reati di violenza sulle donne). Tutte misure di contrasto a costo zero se non in termini sforzi per la macchina giudiziaria sempre più in affanno, ma con il limite evidente di arrivare troppo spesso troppo tardi, a punire un reato già commesso e con vite già spezzate.

Eppure, il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha passato una vita professionale a scrivere e ripetere che il panpenalismo – ovvero la risposta penale a tutti i problemi sociali – non risolve alcun problema, come nemmeno il carcere come strumento di deterrenza.

Immediatamente dopo il ritrovamento del corpo di Giulia Cecchettin, la segretaria del Pd, Elly Schlein, ha proposto alla premier Giorgia Meloni un’alleanza di scopo per approvare insieme in parlamento una legge bipartisan per introdurre l’educazione al rispetto e all’affettività in tutte le scuole d’Italia perchè «la repressione non basta, per sradicare la tossica cultura patriarcale, bisogna partire dall'educazione al rispetto e all'effettività nelle scuole», ha ripetuto anche ieri. In altre parole, cominciare dall’educazione dei più piccoli già dai banchi di scuola all’uguaglianza tra uomo e donna, contro la violenza del possesso.

Il suo appello, però, è finito nel vuoto del silenzio della premier, con la ministra della Famiglia Eugenia Roccella che ha ricordato come in settimana dovrebbe venire approvato in via definitiva il nuovo pacchetto di norme anti-violenza, anche queste di natura principalmente penale. Solo vaghissime risposte sono arrivate dal ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara: martedì o mercoledì dovrebbe arrivare in parlamento una proposta. Ad oggi non esistono testi consultabili ma - nel governo dei decreti legge - dovrebbe trattarsi di una proposta di legge per un decalogo per orientare l’insegnamento nelle scuole, prodotte insieme ad associazioni di psicologi. Roccella, più aperturista nella collaborazione con Schlein, ha parlato di progetti già avviati «di sensibilizzazione nelle scuole», e «linee guida sulla formazione». Nessuna ora curricolare, dunque, e nessun vero e proprio progetto didattico che avrebbe bisogno di budget, ma soprattutto di una sostanza di contenuti che sono il vero problema per il governo di centrodestra.

La convenzione di Istanbul

La proposta di Schlein, infatti, rischia di suonare inaccoglibile alle orecchie dell’esecutivo nella parte in cui parla di «educazione all’affettività». Del resto, la questione è già emersa nel maggio e proprio in merito alla convenzione internazionale per il contrasto alla violenza sulle donne. Quando il parlamento europeo ha votato e ratificato la convenzione di Istanbul, infatti, le delegazioni di Lega e Fratelli d’Italia hanno scelto di astenersi.

A spiegarne le ragioni era stato il capo delegazione di FdI, Carlo Fidanza: «Nel merito, con la nostra astensione abbiamo voluto ribadire la nostra preoccupazione sulle tematiche legate al gender». In altre parole, pur ammettendo che «non esiste alcuna possibilità che la Convenzione venga usata per imporre normative specifiche ai governi nazionali», secondo FdI la sinistra avrebbe «strumentalizzato la Convenzione per farne l'ennesimo cavallo di Troia per imporre l'agenda Lgbt». Anche dietro il contrasto alla violenza sulle donne, dunque, il governo vede materializzarsi questi stessi fantasmi. Meglio allora il silenzio, le linee guida e qualche inasprimento di pena.

 

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