Sull’invio di nuove armi il parlamento ha approvato la risoluzione di maggioranza, che autorizza di nuovo il sostegno anche militare a Kiev.

Una notizia in apparenza positiva per i partiti che sostengono il governo, ma che in realtà nasconde uno sfregio importante per la Lega e l’imposizione della linea di Fratelli d’Italia, da sempre a favore del sostegno, anche in termini di forniture d’armi al paese invaso dalla Russia.

L’atto d’indirizzo indica al governo di «sostenere, coerentemente con quanto sarà concordato in ambito Nato e Unione europea nonché nei consessi internazionali di cui l’Italia fa parte, le autorità governative dell’Ucraina anche attraverso la cessione di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari». Di fatto, è il primo passo verso la proroga della legge quadro che ha autorizzato l’esecutivo precedente, quello di Draghi, a sostenere militarmente Kiev che va approvata prima della fine dell’anno, molto probabilmente nell’ambito di un decreto Milleproroghe.

Resta il fatto che il governo continuerà ad avere la possibilità di spedire le armi in Ucraina. Il tema è da mesi l’elefante nella stanza del centrodestra e rappresenta una delle principali incomprensioni tra i partner di maggioranza: Forza Italia e la Lega negli ultimi mesi hanno avuto una linea altalenante sulla guerra in Ucraina e l’invio di armi a Kiev. Ora però manca poco allo scadere del provvedimento votato durante l’ultima legislatura e Giorgia Meloni ha fretta: deve tenersi le mani libere per un eventuale sesto aiuto militare alla resistenza ucraina. La presidente del Consiglio può contare sul fatto che gli alleati appoggeranno la sua strategia, ma dal dialogo in aula emerge come FI ma soprattutto la Lega hanno bisogno di rimarcare, nelle loro prese di posizione, la preferenza per la via del dialogo a quella delle armi.

Equilibrio fragile

Di qui l’attenta scelta delle parole del ministro della Difesa, che durante le sue comunicazioni di fronte all’aula ha argomentato che la proroga è soltanto l’attuazione di «impegni assunti precedentemente dalle istituzioni italiane» e respingendo le polemiche «sulla presunta natura guerrafondaia del governo, come se il governo stesse inviando armi all’Ucraina all’insaputa del parlamento».

Insomma, il governo Meloni finora «non ha fatto nessuna scelta», ma si è limitato a portare avanti quelle del governo precedente. Nel caso in cui il governo dovesse decidere di inviare in Ucraina un sesto pacchetto di armi, la lista dei mezzi che lo comporranno sarà secretata e condivisa soltanto con il Copasir, esattamente come negli altri cinque casi precedenti. Una scelta in contrasto con le valutazioni che Crosetto ha annunciato in alcune recenti interviste, in cui ha spiegato che forse avrebbe reso la lista pubblica. Ma che sottrae l’eventuale testo a un pericoloso esame in commissione o addirittura in aula, dove i vertici leghisti difficilmente riuscirebbero a tenere a freno il gruppo com’è successo ieri.

La mediazione

Crosetto ha indossato guanti di velluto per maneggiare le inquietudini della Lega, che però si sono dissolte solo in parte. Al Senato il capogruppo del Carroccio Massimiliano Romeo ha spiegato che la pace non si ottiene «inviando le armi senza riserve come qualcuno propone. Dobbiamo aprire parallelamente un canale serio e credibile di diplomazia per fare in modo che le parti comincino a parlarsi seriamente».

Un discorso duro, che però insieme a interventi e dichiarazioni di voto nell’altro ramo del parlamento è stato l’unica prova tangibile del fastidio della Lega per la linea che Meloni sta imponendo al suo esecutivo.

Per il resto, la questione scompare tra gli impegni dei membri leghisti del governo, ma anche dei parlamentari semplici. L’agenda del ministro dei Trasporti Matteo Salvini trabocca e la sua comunicazione rende noto che è impegnato prima con la Tav Torino-Lione, poi con la convocazione di un vertice sulla sicurezza stradale, poi con gli incontri dei sindaci di Grosseto e Massa e infine con una riunione con il primo cittadino di Firenze Dario Nardella. Anche deputati e senatori sembrano avere altre priorità: chi ha da fare con gli emendamenti segnalati alla legge di Bilancio, chi ha lavorato sul prossimo Consiglio europeo e chi non ha avuto neanche modo di ascoltare le comunicazioni del ministro in aula.

Anche alla Camera, Crosetto sottolinea diverse volte l’importanza di tutti gli aiuti italiani all’Ucraina che non siano quelli militari: «Non è vero che la diplomazia è ferma» dice il ministro, lasciando perdere il discorso scritto e andando a braccio, «non esiste un solo canale e Ogni giorno ci sono nazioni che si impegnano. Se abbiamo ottenuto risultati, pensate al grano e ai fertilizzanti» è perché c’è stato questo sforzo.

Il ministro si prende il tempo di replicare anche ad Anastasio Carrà, il deputato della Lega intervenuto in discussione generale: «Ci è sempre stato riconosciuto un approccio italiano nelle missioni. La difesa italiana è nata per quello. La nostra Costituzione non prevede la possibilità di portare la guerra fuori dai confini. Il compito è difendere libere istituzioni e portare la pace».

Alla fine, la Lega dà il via libera alla risoluzione, ma di fatto anche alla proroga della legge quadro che consentirà di prolungare la cornice politica per fornire aiuti all’Ucraina, anche alla Camera. A Montecitorio il deputato Paolo Formentini garantisce durante la sua dichiarazione di voto l’appoggio del Carroccio, rassicurato dalla promessa di Crosetto che le forniture termineranno «quando ci sarà un tavolo per la pace», a condizione che lo scopo finale sia davvero «un negoziato, una tregua e la pace».

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