La legge di Bilancio è stata approvata, ma la sua operatività è in buona parte sospesa. Dopo poco più di due mesi dal via libera definitivo, sono 40 i decreti attuativi già scaduti, oltre il 25 per cento dei provvedimenti previsti per rendere esecutive le norme della legge stessa. Dalla salute alla cultura, dalla scuola alle misure più strettamente economiche, il governo non riesce a rispettare le scadenze fissate, bloccando un miliardo e 180 milioni di euro nell’anno in corso, e quasi 3 miliardi nel triennio 2022-2024.

Un ritardo non dovuto dalla congiuntura geopolitica della guerra in Ucraina, ma che si registra con consuetudine ormai da decenni. Intanto l’esecutivo continua a inondare di decreti legge il parlamento e imponendo alle camere continui voti di fiducia.

I decreti attuativi sono, o dovrebbero essere, il core business dell’azione governativa, strumenti essenziali per rendere realtà concreta una norma decisa da deputati e senatori. Spesso i provvedimenti molto vasti, come decreti di materia economica o le leggi di Bilancio, forniscono una cornice, rimandando la pubblicazione definitiva della legge in un decreto ministeriale.

Questo comporta che le risorse già stanziate restano incagliate fino all’emanazione di questi provvedimenti secondari. L’iter è spesso farraginoso, a causa della necessità di dover attendere i pareri di altri enti coinvolti dai cambiamenti. «Il governo non riesce a rispettare scadenze attuative fissate in decreti legge che si presuppongono dunque necessari e urgenti», dice Giuseppe Brescia (M5s), presidente della commissione Affari costituzionali della Camera.

Soldi in ostaggio

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Sembra un tecnicismo, ma si parla di soldi da liberare. E ancora di più se si parla della legge di Bilancio. Ci sono misure che hanno un grande impatto e che per rimangono in attesa. Tra queste c’è la ripartizione dei soldi per poter svolgere iniziative in favore della legalità e per la tutela degli amministratori locali, come i sindaci, vittime di atti intimidatori. Il Fondo è bloccato, la sua dotazione è di cinque milioni di euro all’anno per tre anni.

Ancora in ostaggio della burocrazia risultano i 90 milioni di euro, di cui 25 solo per quest’anno, da destinare agli interventi “per assicurare la conservazione e la fruizione del patrimonio archivistico”.

La manovra ha poi reso strutturale il bonus cultura, destinato ai 18enni per coprire i costi dell’acquisto di libri, dei biglietti del cinema e degli spettacoli dal vivo. Si tratta di 230 milioni annui, che al momento sono in attesa di conoscere i “criteri di modalità e di attribuzione” delle risorse. Compiti che spettano al ministro della Cultura, Dario Franceschini, d’intesa con il numero uno del ministero dell’Economia, Daniele Franco.

Niente aiuti al turismo

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Ma la questione non riguarda solo la cultura. Tuttora risultano fermi i ristori economici da destinare a chi lavora nel turismo, nello spettacolo e nel settore dell’automotive gravemente colpiti dall’emergenza Covid. Lo stanziamento totale ammonta a 150 milioni per il 2022. Sarebbe un’urgenza, per questo l’impegno, scadenza alla mano, era quello di completare la procedura entro il 2 marzo. Invece niente. Si attende che il ministro dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, acceleri la firma, sempre in accordo con il Mef.

Salute e scuola

Sul capitolo salute occorre sbloccare il “riparto del Fondo Next Generation sequencing”. Sono dieci milioni da spalmare su due anni per un investimento sulle nuove tecnologie legate al sequenziamento del genoma umano.

Si attendono anche micro norme settoriali, come quella per l’organizzazione e l’internalizzazione del Giro d’Italia degli atleti under 23, per cui è a disposizione un fondo da 600mila euro, o il riordino della categoria dei micro birrifici.

La scuola invece attende la normativa che indichi alle singole scuole il numero di professori da destinare ai cosiddetti posti comuni di sostegno, in cui gli insegnanti affiancano i ragazzi disabili o con problemi di salute. Manca anche l’indicazione dei posti da destinare all’educazione motoria nella scuola primaria.

«Questo stallo sulla manovra preoccupa soprattutto perché blocca risorse che poi rischiano di essere perdute se non spese», dice ancora Brescia, che pure riconosce «l’impegno del governo e il pressing alto sui ministeri». Tuttavia, conclude, «rimangono delle difficoltà oggettive e forse è meglio cambiare la macchina che avvitare i bulloni».

C’è una tabella di marcia

Il presidente del consiglio Mario Draghi (Foto Riccardo Antimiani/POOL Ansa/LaPresse)

In effetti l’esecutivo di Mario Draghi, sotto la spinta del sottosegretario alla presidenza del Consiglio Roberto Garofoli incaricato di occuparsi del tema, ha fatto una buona performance rispetto ai predecessori. 

Per porre rimedio ai decreti in ritardo, un documento visionato da Domani dispone un target molto preciso che i singoli ministeri dovranno seguire nelle prossime settimane per tentare il recupero: entro la fine marzo devono essere licenziati almeno 95 decreti, con un focus particolare sulla legge di Bilancio, nella consapevolezza che troppi provvedimenti sono già finiti fuori tempo massimo.

Il pressing si concentra molto sul ministero dell’Economia chiamato a emanare un minimo di 12 decreti attuativi entro la fine del mese. Uno sforzo imponente è richiesto poi ai ministeri della Transizione ecologica e della Giustizia, che devono completare l’iter di almeno undici provvedimenti.

A seguire tocca a Sviluppo economico e Salute raggiungere il target di sette decreti ministeriali. Per evitare che, tra inizio marzo e fine aprile, arrivino in scadenza altri provvedimenti. E gli arretrati, tra un decreto e l’altro, rischiano di aumentare.

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