Dal 1976 ad oggi sono stati presentati in Parlamento 108 disegni di legge per regolamentare l’attività di lobbying. Di questi, soltanto uno – della scorsa legislatura, a prima firma del deputato 5 Stelle Silvestri – è stato approvato dalla Camera per poi arenarsi e morire in Senato. Il ritardo dell’Italia

L’attività di pressione che taluni gruppi svolgono nei confronti dei decisori è uno degli indicatori del livello di democraticità dei sistemi politici. Non a caso in quegli Stati dove sono negate le libertà di pensiero, di associazione, di riunione, dove i diritti politici sono limitati, il lobbying è proibito.

La Corte costituzionale italiana ha più volte evidenziato la connessione tra attività di lobbying e democrazia, sottolineando come anche la nostra Costituzione garantisca ai lobbisti un vero e proprio diritto ad intervenire nel processo decisionale. Tuttavia tale diritto – esattamente come le altre libertà – deve essere regolato per evitare che il suo esercizio danneggi altri diritti, assicurando, dunque, che tutti i portatori di interessi abbiano parità di accesso al decisore in un regime di reale ed effettiva trasparenza e conoscibilità del processo decisionale.

La quasi totalità degli Stati democratici hanno introdotto leggi sul lobbying. In Europa, con l’eccezione di Grecia, Spagna e Italia, tutti gli ordinamenti hanno regolato il lobbying. L’OCSE ha più volte sottolineato la stretta connessione tra crescita del PIL e lobby, evidenziando come i Paesi in cui il lobbying è regolato siano in grado di attrarre maggiori investimenti.

L’Italia – che pure detiene il record mondiale di disegni di legge in materia – sconta un ritardo spaventoso le cui cause sono molteplici. Da un lato, infatti, certa politica non vuole regolare le lobby perché così le può usare come capro espiatorio dei propri fallimenti (“è colpa delle lobby”); dall’altro, alcuni (pochi) lobbisti temono che una legge seria sul lobbying possa far venire meno gli accessi privilegiati al decisore di cui godono in virtù di rapporti pregressi, ponendo tutti sullo stesso piano. Come intervenire

Per questo è apprezzabile l’iniziativa promossa dal presidente della Commissione Affari Costituzionali della Camera, Nazario Pagano, che dapprima ha avviato una indagine conoscitiva in materia, poi ha chiesto a un gruppo di giuristi di elaborare un testo ed infine ha fissato l’obiettivo di farlo approvare in Commissione entro la fine dell’anno. Basterà?

Legge perfetta

Nella scorsa legislatura, la proposta Silvestri fu votata alla Camera da tutti i partiti con l’eccezione di Fratelli d’Italia che si astenne non perché contraria alla regolazione ma perché, giustamente, rivendicava parità di trattamento per tutti i lobbisti (senza discriminare, ad esempio, Confindustria o i sindacati). Nel cercare la legge perfetta tutto si bloccò.

Forse stavolta converrà procedere per piccoli passi, introducendo prime norme minimali che razionalizzino gli obblighi di trasparenza del decisore pubblico già vigenti anziché creare nuovi oneri sui privati. Non servono albi professionali né registri ad iscrizione obbligatoria; piuttosto può servire un sistema normativo incentivante che disciplini la funzione del lobbying (e non il lobbista) e definisca una serie di prerogative riservate a chi rispetta le regole. Senza avere la mania di voler regolare ogni singolo aspetto della relazione lobbistica, una legge in materia renderebbe i decisori più responsabili e il criterio di decisione più trasparente: due obiettivi che, in un paese come il nostro, già potrebbero rappresentare una rivoluzione.

© Riproduzione riservata