La linea di difesa del governo sulla parte fiscale della legge di bilancio è che si tratta solo di un assaggio che getta «un ponte verso la revisione organica del modello di tassazione» (così il vice ministro Maurizio Leo su questo giornale). È un’affermazione credibile?

Per prima cosa, nei prossimi anni non potranno essere rinvenute risorse sufficienti per alleggerire la pressione fiscale (uno degli obiettivi dichiarati). Dal lato della spesa, solo per mantenere costante in termini reali la spesa per personale e consumi intermedi (in buona parte sanità e istruzione) da qui al 2025 serviranno 40 miliardi.

Senza contare, su un orizzonte più ampio, la spinta all’aumento della spesa che deriverà dalla dinamica demografica, dalla transizione energetica, dalla difesa. Iniziative serie di revisione della spesa attuale (di cui comunque non si vedono indizi) potranno al massimo accomodare parzialmente queste pressioni, non certo permettere di ridurre il gettito fiscale. D’altra parte, non è pensabile finanziare una riforma fiscale con nuovo debito, ma questo, ne va dato atto, il governo sembra averlo introiettato.

Il regime forfettario

Una riforma tributaria ovvia dovrebbe mettere ordine nei mille trattamenti speciali che si sono accumulati in decenni, redistribuire l’onere fiscale dai fattori produttivi verso le rendite e il consumo e contrastare seriamente l’evasione, eliminando incentivi ad evadere e rafforzando la capacità dell’amministrazione, ricavando per questa via le risorse utili a ridurre le aliquote.

Qualcosa del genere tentava di avviare nella passata legislatura la delega fiscale del governo Draghi, che i partiti di destra hanno prima approvato in Consiglio dei ministri e poi affossato in parlamento. Consideriamo in questa ottica, le due misure fiscali principali sull’Irpef di questa legge di bilancio: l’estensione del regime forfettario e la flat tax incrementale per lavoratori autonomi e professionisti.

Entrambe non potranno mai essere estese al resto dei contribuenti perché la perdita di gettito sarebbe enorme. La questione è che entrambe sono dannose dal punto di vista del sistema tributario in particolare e dell’economia in generale. Il regime forfettario favorisce in misura sproporzionata il lavoro autonomo e così facendo, oltre a violare gravemente criteri di equità dai quali un sistema tributario non può prescindere, distorce profondamente le scelte dei lavoratori e delle imprese che troveranno molto conveniente trasformare lavoro dipendente in lavoro autonomo.

Questa tesi è stata negata dalla destra sulla base dell’argomento secondo cui nel confronto bisogna considerare che i contributi sociali dei dipendenti sono pagati dai datori di lavoro mentre i lavoratori autonomi provvedono da soli. Un argomento privo di senso: seguendo lo stesso approccio si può dire che i contributi dei lavoratori autonomi sono pagati da chi domanda il loro lavoro, ovvero dai loro clienti. Per maggiori dettagli si rinvia, in generale, a un corso introduttivo di Scienza delle finanze e, nello specifico, a un lavoro dell’Osservatorio dei conti pubblici.

Il regime forfettario ha anche il difetto di incentivare l’evasione. L’esenzione dall’Iva comporta per un lavoratore autonomo l’eliminazione del contrasto di interessi con i propri fornitori, non potendo più scaricare l’Iva sui propri acquisti.

Ancor meglio, diventa conveniente dar vita a gruppi informali composti da operatori dello stesso settore, alcuni in regime forfettario e altri in regime ordinario, realizzando così una sorta di transfer pricing casareccio.

Questo è solo un esempio di uno dei limiti culturali di questa politica tributaria: sottovalutare come interventi sulle imposte modifichino il comportamento dei contribuenti. Un altro caso ovvio è quello della flat tax incrementale per il 2023 che rende vantaggioso spostare in avanti ricavi del 2022 e indietro ricavi del 2024.

Una conclusione naturale è che queste misure hanno solo lo scopo di avvantaggiare un segmento importante dell’elettorato della destra. Ma c’è anche un elemento culturale che caratterizza, credo in buona fede, la destra dai tempi dei milioni di partite Iva vantati da Berlusconi come un punto di forza dell’economia italiana. Quando, invece, è un punto di debolezza rispetto alle economie avanzate. Punto di debolezza che viene esaltato dal regime forfettario che favorisce tra i lavoratori autonomi chi non fa investimenti e non ha dipendenti.

La flat tax incrementale

Un’ultima questione culturale riguarda il ruolo del fisco. Si può usare il fisco per premiare il merito con una tassazione agevolata per chi si impegna nel suo lavoro? Ovviamente no, il fisco non è in grado di osservare il merito o l'impegno, a malapena riesce ad osservare il reddito.

Le agevolazioni motivate da variabili non osservate si traducono in grandi pasticci. Questo è, di nuovo, il caso della flat tax incrementale che al massimo incentiva comportamenti opportunistici o semplicemente premia fenomeni che comunque si sarebbero verificati, come accadrà nel 2023 con i maggiori redditi di quei lavoratori autonomi che potranno trasferire sui propri clienti l’inflazione.

Non a caso, diversamente dalle promesse elettorali, la misura non è stata estesa ai lavoratori dipendenti quando ci si è resi conto che sarebbe costata troppo in quanto avrebbe semplicemente detassato la naturale evoluzione delle carriere lavorative: mediamente il salario tende a crescere con l’esperienza, come è documentato dalla sterminata letteratura sugli age-earnings profiles (profili età-stipendi).

Insomma, più che un ponte verso una riforma organica stiamo imboccando un vicolo cieco. Se in futuro si volesse migliorare efficienza ed equità del sistema si dovrebbe, per cominciare, cancellare queste misure.

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