Bianchi contro bianchi. Nella partita a scacchi che inizia oggi pomeriggio alla camera il centrodestra e il centrosinistra entrano con le squadre dello stesso colore. Che è il non colore di chi non ha deciso e ha paura di sbagliare la prima mossa. Con ogni probabilità saranno tre schede bianche alle prime tre chiame per entrambi gli schieramenti.

Da una parte e dell’altra nelle ultime ore si è consolidata la consapevolezza che schierare un candidato «di bandiera» potrebbe mettere in luce più le divisioni che le convergenze dei due campi. Nella giornata  quasi tutti i leader hanno parlato con quasi tutti. Il leghista Matteo Salvini ha sentito Berlusconi, poi ha riunito i suoi grandi elettori. Il democratico Enrico Letta ha parlato con Roberto Speranza e Giuseppe Conte (che in serata ha visto i suoi parlamentari) e poi con Matteo Renzi, poi ha riunito su zoom i suoi.

Lunedì mattina i triumviri giallorossi si rivedranno alle 11, ma la decisione della scheda bianca per i primi tre voti sembra già presa. Sfuma in giornata l’idea di contarsi da subito su Andrea Riccardi, prestigioso fondatore della comunità di Sant’Egidio, ed ex ministro. Non un candidato «di bandiera», sottolineano Loredana De Petris e Federico Fornaro (Leu) ma il portatore «di un messaggio»: una personalità di alto profilo, un civico, un grande promotore di dialogo e accoglienza, ma anche un moderato. Un dito nell’occhio di Salvini (per le questioni dell’immigrazione) ma un messaggio trasversale a tutti i cattolici del parlamento.

Per Letta «sarebbe il presidente della Repubblica ideale, per quello che rappresenta, per ciò che fa, per esperienza istituzionale. È l’unico italiano che ha ottenuto il Premio Carlo Magno, maggiore riconoscimento europeo». Anche Giuseppe Conte pronuncia parole enfatiche su Riccardi, ma il rischio di fallire il pieno dei voti – nei Cinque stelle serpeggiano malumori, nel Pd c’è chi spiega che non se n’è parlato apertamente – consiglia prudenza. E scheda bianca. C’è chi spera che il nome, di indubbio prestigio, possa rientrare più avanti.

Effetto Casini

All’ora di pranzo Matteo Renzi, su Rai3, allude moderatamente a Pier Ferdinando Casini: che però è il suo asso da sempre. Serve un presidente «filoatlantico e filoeuropeo», dice, aggettivi che si attagliano perfettamente all’ex presidente della commissione esteri del senato. «Casini ha fatto bene il presidente della Camera, oggi viene fuori il suo nome come una delle ipotesi cui si pensa, ma se partono quelli del centrodestra che dicono no a Casini e quelli del centrosinistra che rispondono no a Casellati...». Dal Nazareno arriva la smentita che si tratti di una delle proposte di Letta, come scritto da Repubblica. Ma non è una bocciatura, se un deputato vicino al segretario ammette: «Per noi sarebbe win win».

Letta resta coperto perché non può permettersi una stecca: nel suo partito chi sbaglia la partita del Colle non viene perdonato (vedasi alla voce Bersani, 2013, e i flop dei voti su Marini e Prodi). Quindi aspetta, aspetta di sapere su che profilo si attesta il centrodestra. In serata però Matteo Salvini gela l’operazione Casini: «Non è un nome di destra».

Eppure potrebbe essere una scelta tattica, proprio per non «targarlo». Infatti, lontano dai cronisti, Renzi ai suoi assicura: «Conto di portare Salvini su Casini entro martedì».

Draghi il meno peggio

L’opzione Draghi, la più forte fino a sabato, è stata sbarrata da Silvio Berlusconi che, accettando di fare un passo indietro rispetto alla sua autocandidatura, ha chiesto che il premier resti a palazzo Chigi dove «sta facendo benissimo». E anche Enrico Letta davanti ai suoi grandi elettori sembra aver archiviato l’ipotesi del premier al Colle quando, dopo una lunga analisi sulla possibile guerra in Ucraina, conclude: «Siamo tutti consapevoli del ruolo fondamentale che Draghi sta svolgendo, in Italia, in Europa e nel mondo. Questo oggi è importantissimo, perché mai come ora è stata così vicina una guerra in suolo europeo».

Dall’altra parte Salvini si intesta il ruolo da regista, ma per ora l’urgenza del centrodestra è quella di non esplodere. I candidati di bandiera (Letizia Moratti, Marcello Pera, Maria Elisabetta Casellati) sono stati esplicitamente già respinti dal segretario del Pd. «Non è mettendo il cappello su qualcuno che si vince, anzi i candidati si bruciano tipo 10 piccoli indiani», ha spiegato. Così provando ad archiviare la pretesa dell’avversario – ma alleato nel governo – di avere un «diritto di prelazione».

Nella riunione dei grandi elettori leghisti si ragiona anche su Draghi: forse l’unico nome in grado di tenere unita la maggioranza di governo e insieme l’alleanza di centrodestra (per Giorgia Meloni è da sempre la scelta considerata migliore, meglio se seguita dal voto anticipato). Anche Salvini, come Letta ma anche più di Letta, si gioca la partita della vita. Un passo falso e salta non solo la sua leadership, ma anche tutta la coalizione.

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