I Cinque stelle siciliani non avrebbero più intenzione di fare le primarie di coalizione in Sicilia in vista delle regionali di ottobre, che sono già convocate per il 13 luglio. È solo una voce, potremmo dire un venticello malizioso, che circola con insistenza a Palermo e che dall’isola soffia fino a Roma. E che coglie di sorpresa il Pd. Che in questo caso si sentirebbe parte lesa: sulle primarie di coalizione siciliane il partito di Letta ha costruito tutto l’avvio dell’architettura della coalizione alle future politiche di marzo 2023. «A sei mesi dal voto nazionale», spiega un alto dirigente del Nazareno, «rompere con noi in Sicilia significherebbe non allearsi neanche a livello nazionale». E se a Palermo il Pd considera «imperdonabile» Azione, che rompendo il fronte del centrosinistra ha agevolato la vittoria alla comunali del candidato della destra, quale sarebbe il giudizio su chi consegna il paese alle destre?

La voce viene smentita ufficialmente e autorevolmente dal sottosegretario Giancarlo Cancelleri, il più alto in grado del Movimento siciliano a Roma: «Giuseppe Conte ed Enrico Letta si sono parlati, nelle direzioni siciliane è stato varato un regolamento, entro la fine del mese verranno presentati i candidati. E sarà Conte a scegliere il nostro». Cancelleri si schermisce, ma è in pole per la corsa, gli serve “solo” il nulla osta per far saltare il vincolo del doppio mandato. «Alla corsa potranno anche presentarsi degli esterni, con una loro regolare quota di iscrizione, visto che per quelli dei partiti stanno pagando i partiti – spiega – Il Movimento siciliano si sta preparando a questa esperienza che sarà una grande novità politica».

Cancelleri racconta come materialmente si voterà. «Tutti i partecipanti si registreranno su un sito “terzo”», cioè non del Pd né del M5s, «e decideranno se votare online o in presenza. In questo secondo caso ai seggi ci saranno i tecnici della piattaforma, e i politici potranno essere presenti solo in funzione di “rappresentanti di lista”». M5s ha paura di non gestire la macchina elettorale, di cui il Pd ha un ventennale know-how. Ma una cosa è certa, insiste: «Siamo arrivati troppo avanti per tirarci indietro. Non dobbiamo avere paura: ripartiremo da qui, la Sicilia fa bene al Movimento e il Movimento fa bene alla Sicilia. Se sarò io il candidato ripartiremo lancia in resta, se non sarò io ripartiremo lo stesso lancia in resta». Poi chiude la conversazione perché, spiega con cortesia, sta proprio per iniziare una «call» con tutti i portavoce siciliani per discutere esattamente delle primarie di coalizione. E cosa ci sarebbe da discutere se tutti fossero d’accordo?

Stelle cadenti

Al Pd nessuno crede alle «voci». Il segretario Enrico Letta, comprensibilmente soddisfatto dei risultati delle amministrative, intercettato all’uscita di uno studio televisivo, sorride scuotendo la testa: «Ma no, so anzi che in queste ore si sta lavorando a organizzare le primarie siciliane».

E allora qual è la ragione per cui gira così insistentemente l’ipotesi di uno stop ai gazebo? Sono tante le conversazioni riservate sul tema. Si sono infittite dopo il clamoroso flop grillino a Palermo, dove M5s si è presentato in coalizione con il Pd e ha preso uno stentato 6,45 per cento e solo tre seggi in consiglio comunale. E allora il ragionamento muove dalla consapevolezza che se la strada è quella di una coalizione giallorossa con M5s nella parte di junior partner del Pd, è una strada segnata da una irresistibile discesa del Movimento proprio nella regione considerata l’ultima casamatta.

Per tenere le posizioni, il presidente Giuseppe Conte si è impegnato in un tour delle città che andavano al voto. Senza esito. Per tirare su gli argini dopo che la piena della sconfitta era arrivata, ha subito nominato Nuccio Di Paola come coordinatore regionale. Ma neanche lui basta a contenere la confusione, la tentazione di rompere le righe. Da fuori il transfuga Dino Giarrusso, il catanese ex “iena” e plebiscitato per le europee, annuncia la nascita di «un nuovo soggetto politico che rivoluzionerà la Sicilia» e rischia di essere una sirena per i delusi.

Lo schema Bartolo

E in realtà non sarebbero solo i Cinque stelle a nutrire dubbi sull’appuntamento del 13 luglio ai gazebo. Secondo il partito centrista Demos, Democrazia solidale, un pezzo del Pd maldigerisce la candidatura di Pietro Bartolo. Il medico dell’accoglienza dei migranti a Lampedusa, protagonista del documentario Fuocoammare ed eurodeputato dem stravotato in Sicilia, viene presentato come l’unico che può contendere i voti della sinistra che saranno attirati da Claudio Fava. Il quale peraltro, viene sospettato dal Pd, sarebbe pronto a candidarsi comunque se le primarie non venissero celebrate. Ma Bartolo non parla solo alla sinistra: negli scorsi giorni lo ha chiamato Raffaele Lombardo, leader del movimento per le autonomie. E il coordinatore siciliano di Demos Emiliano Abramo lavora alacremente proprio all’allargamento della maggioranza.

Ma qui c’è chi crede che i deputati uscenti dell’Assemblea regionale preferiscano candidare Caterina Chinnici, autorevole eurodeputata e figlia di un magistrato ucciso dalla mafia, che forse non garantisce la vittoria ma garantisce quei voti che bastano a mantenere i seggi consolidati (all’opposizione).

Sullo sfondo, una discussione che attraversa anche il Pd. Perché se Atene piange, Sparta non ride. Se i Cinque stelle devono fare i conti con la sconfitta palermitana, il Pd sembra del tutto non intenzionato a farli, spiega il deputato Fausto Raciti, ex segretario regionale, ragusano, «con la fine dell’orlandismo». Nel senso della stagione del sindaco Leoluca che si è conclusa, con uno schianto elettorale, alle comunali di Palermo: «La giunta comunale uscente ha espresso un solo nome per il consiglio, nonostante Miceli fosse un ottimo candidato». Ma questa sarebbe un’altra storia. O forse no, forse è proprio la stessa storia di interessi di bottega e di personalismi contro il gioco di squadra.

© Riproduzione riservata