La sintesi è che le manette ai giornalisti non vanno cancellate. O meglio si finge di volerle cancellare con il ddl Balboni che elimina il carcere per il reato di diffamazione, ma si fanno rientrare dalla finestra – con pene molto più pesanti – con il ddl Cybersicurezza ora in commissione Giustizia alla Camera. Artefici: i tre partiti centristi Forza Italia, Azione e Italia Viva, che spesso hanno fatto del garantismo la loro battaglia e per questo vogliono l’abolizione del reato di abuso d’ufficio che colpisce i pubblici ufficiali che violino specifiche regole di condotta per procurarsi un vantaggio ingiusto. In questo caso, invece, hanno scelto un metro decisamente diverso. Anzi, il carcere diventa il perfetto deterrente alla pubblicazione di notizie, nel caso in cui il giornalista sia consapevole che siano frutto di reato.

Gli emendamenti portano le firme di Enrico Costa di Azione, Maria Elena Boschi di Iv – formalmente all’opposizione ma quasi sempre allineati al governo nei voti in materia di giustizia – e Tommaso Calderone di Forza Italia. Quello di Costa con la firma anche di Boschi prevede da sei mesi fino a tre anni di carcere per chiunque, fuori dai casi di concorso, divulghi «mediante qualsiasi mezzo» informazioni provenienti da sistema informatico conoscendone la provenienza illecita. L’emendamento Calderone, invece, equipara la divulgazione «con qualsiasi mezzo» di dati sottratti da un sistema informatico alla ricettazione, al riciclaggio e all’autoriciclaggio e dunque prevede una pena fino a 8 anni. Entrambe le proposte hanno ricevuto il via libera dell’autorità delegata per la sicurezza, che fa capo al sottosegretario Alfredo Mantovano, che ha proposto il ddl cybersicurezza. «L’esecutivo deve ancora riservare una riflessione sugli emendamenti», ha detto in settimana Mantovano nel tentativo vano di smorzare la polemica, visto che il testo del governo non prevedeva sanzioni per chi utilizza i dati acquisiti illecitamente. Eppure non è arrivato alcun no da parte della maggioranza e il tempo stringe: gli emendamenti verranno votati la prossima settimana.

Gli effetti

Anche se nessuno degli emendamenti cita mai i giornalisti, è evidente come si tratti di comportamenti che toccano in particolare il lavoro giornalistico. Del resto, l’ispirazione sembra essere il caso della fuga di notizie dal database delle segnalazioni di operazioni sospette dalla direzione nazionale antimafia, di cui si sta occupando la procura di Perugia e che vede indagati anche i giornalisti d’inchiesta di Domani per concorso in accesso abusivo a un sistema informatico con il finanziere che materialmente è entrato nel database riservato.

L’obiettivo è quello di rendere più difficile – o meglio ancora impedire – il lavoro dei cronisti, usando il carcere come deterrente. Se uno dei due emendamenti passasse, infatti, chiunque pubblichi una notizia - anche se vera - sapendo che la fonte ha commesso un reato per fornirgliela verrà indagato direttamente per reati che prevedono pene molto alte. A un prezzo altissimo per la collettività, però: minare la libertà di stampa e il pluralismo dell’informazione, facendo sì che il giornalista ci pensi due volte a pubblicare notizie anche di grande interesse pubblico. E soprattutto se riguarda il potere.

Niente Pulitzer

Con questo sistema, inoltre, si mette anche in discussione la segretezza delle fonti giornalistiche, come i cosiddetti whistleblowers che spesso hanno accesso a database riservati.

E’ stato infatti grazie a un informatore come Edward Snowden, ex tecnico della Cia e consulente della National Security Agency, che i giornali Guardian e il Washington Post hanno potuto pubblicare nel 2013 i dettagli dei programmi top secret di sorveglianza di massa sia telefonica che su internet messi in atto dal governo americano e da quello britannico. In quel caso Snowden ha rivelato ai giornalisti documenti secretati su programmi di intelligence e con le loro inchieste i due giornali hanno vinto il premio Pulitzer nel 2014.

Lo stesso è successo nel 2017, quando il Pulitzer è stato assegnato al team internazionale di giornalisti autori dell'inchiesta Panama Papers, condotta dal Süddeutsche Zeitung e dal consorzio internazionale di giornalisti d'inchiesta ICIJ. Anche in quel caso, tutto è nato grazie alla divulgazione illecita di 11,5 milioni di documenti che mettevano in luce i legami tra il paradiso fiscale panamense e personalità di primo piano in molti paesi del mondo. Documentazione segreta e riservata, infine, era anche quella che ha permesso di far conoscere i dossier sui detenuti della prigione di Guantánamo, divulgati da Wikileaks, l’organizzazione fondata da Julian Assange. In Italia, anche il caso Vatileaks, sugli scandali finanziari del Vaticano del 2012 e del 2015 è emerso in seguito alla diffusione di informazioni riservate e documenti interni.

Se passassero gli emendamenti al ddl Cybersecurity, invece di aspirare al Pulitzer i giornalisti rischieranno la galera.

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