Sembrava una battaglia vinta, dopo le proteste e le critiche dall’Onu, ma adesso il ddl Pillon che nel 2018 puntava a riscrivere le regole dell’affido condiviso, ritorna con il Governo Meloni, sotto un altro nome. «Come nel gioco dell’oca siamo ritornati al punto di partenza», dicono in Senato, dove in commissione Giustizia sono partite le audizioni sul disegno di legge 832 a prima firma del senatore Alberto Balboni di Fratelli d’Italia che modifica l’istituto dell’affido condiviso. La proposta elimina il concetto di “residenza abituale” e prevede l’obbligo che il bambino viva in due domicili: alternativamente in quello del padre e in quello della madre e con identici tempi di permanenza. Via l’obbligo, per il giudice di adottare provvedimenti «con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale dei figli». Le associazioni lo hanno battezzato ddl Salomone, dalla storia della Bibbia in cui il re propone di tagliare in due un bambino per risolvere una disputa tra due donne che lo rivendicano come figlio.

Un testo molto denso quello di Fdi, composto da 18 articoli e presentato in sede redigente – ossia con una corsia accelerata che ne prevede l’arrivo in Aula blindato. Nella premessa si legge che in Italia il concetto di “bigenitorialità”, cioè l’impegno nel continuare a esercitare il diritto-dovere dell’educazione anche quando la famiglia si separa, non viene rispettato. Ma la risposta che viene data «ignora la complessità delle relazioni familiari in un paese che non investe in politiche sociali», denuncia Differenza Donna.

Spartizione geometrica

«Questo testo è una trappola», spiega a Domani l’avvocata Teresa Manente, tra le più esperte conoscitrici del diritto in tema di violenza contro le donne, che elenca le criticità: «Propone una ripartizione matematica al 50% del tempo tra i genitori nei casi di separazione e divorzio, imponendo una spartizione geometrica dei figli, per di più sanzionata penalmente ove non si riesca a rispettarla. Qualcosa che ignora la realtà delle relazioni familiari, dove l’affettività, la cura e la responsabilità non possono essere ridotte a simmetria di tempi. Il testo introduce anche l’obbligo di doppio domicilio e cancella l’istituto dell’assegnazione della casa familiare: «Eliminando così il diritto del minore a una continuità abitativa stabile e creando un contesto che presuppone famiglie con due case vicine, una soluzione che non è accessibile alla maggior parte delle persone».

A sparire è inoltre l’obbligo di mantenimento per i figli sulla base delle capacità economiche, eppure i dati periodicamente raccolti da Istat e Inps fotografano le madri come genitori più fragili dal punto di vista economico. Viene inoltre introdotto l’obbligo di ricorrere alla mediazione familiare e alla coordinazione genitoriale, anche nei casi in cui vi siano forti conflitti o episodi di violenza, imponendo percorsi che possono esporre le donne e i/le minori a nuove forme di controllo e vittimizzazione istituzionale.

Ma è l’obbligo di pagamento delle spese di gravidanza e parto da parte dei padri non coniugati a «riportare le donne in una condizione di dipendenza economica e limitando la loro autodeterminazione sulla gravidanza». Prevede l’obbligo di pagamento delle spese di gravidanza e del parto per le donne non coniugate e non in coppia da parte del padre, come spiega Manente. Questo vuole dire riportare le donne in condizioni di dipendenza dall’uomo e limitare il diritto di autodeterminazione delle donne alla gravidanza perché se il padre ha obblighi allora potrà vantare diritti. Il riconoscimento giuridico al padre e al nascituro come soggetti di diritto autonomi apre la strada a istanze e a pretese da parte degli uomini che vogliono essere padri anche contro la volontà della madre. Si legittima il principio che la scelta della gravidanza non appartiene più alla donna. Questo mette in discussione il principio di libertà della donna riguardo alla maternità e presenta problemi di incostituzionalità. Perché si al mantenimento economico della donna in gravidanza e non al mantenimento economico della donna in caso di separazione? Una tutela economica che riecheggia misure del passato, come quelle del periodo fascista, dove la tutela economica era concessa solo in funzione della maternità, ma non in caso di separazione. Un disegno di legge che mira a dare poteri al padre a prescindere dalla reale partecipazione alla vita e cura dei padri».

Un percorso rimosso

Le audizioni sul testo continuano anche il 15 aprile. In Commissione sono arrivate critiche anche dalla Garante per l’infanzia, Marina Terragni, molto vicina a Fratelli d’Italia: «Il rischio è che prevalga una prospettiva di tipo adultocentrico».

Per la senatrice Anna Rossomando (Pd) è «una riedizione di quella che è stata la proposta del senatore Pillon. La rivendicazione di un affido paritario fa pensare alla spartizione di un oggetto. Mi lascia perplessa anche il fatto che questo ddl ignori il lavoro realizzato in Parlamento nel 2022 in tema di diritto di famiglia. Proprio in quella occasione si affrontò una discussione sul procedimento di separazione tra i coniugi, dove bisognava tenere conto delle violenze familiari, evitando anche il parallelismo, cioè il fatto che processo civile e penale non si parlino. Un percorso è stato rimosso. L'ennesima prova di un governo che sulla giustizia tende a fare passi indietro di 20 anni».

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