Come la chiesa pensa il mondo? Come l’Italia pensa il mondo? Sono le domande che hanno dato l’input all’incontro tenuto nella sede de La Civiltà Cattolica per la presentazione del libro del gesuita Antonio Spadaro, L’atlante di Francesco (Marsilio).

Non una semplice presentazione, ma un’occasione politica, con il primo incontro ufficiale tra il segretario di Stato vaticano, Pietro Parolin, e la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, accompagnata dai ministri della Giustizia e Cultura, Carlo Nordio e Gennaro Sangiuliano.

Nella sede della storica rivista dei gesuiti, lungo le mura aureliane, si getta il ponte della diplomazia più concreta, si ricostruisce il legame tra il Vaticano e il governo di centro-destra dopo le visioni divergenti tra il papa dei migranti e l’esecutivo del decreto migranti. Ma in via di Porta Pinciana, la premier trova anche un confessionale: «Io in coscienza sono serena» ha detto nel suo intervento.

Rievocando il padre dei gesuiti, Ignazio di Loyola, nella diplomazia del pontefice, Meloni fa il suo personale discernimento: «La crisi è un’occasione, perché costringe a scegliere. Cosa che la politica non ha fatto», cogliendo così l’occasione per analizzare l’eredità dei governi precedenti. Assenza di una politica industriale, visione politica finora poco unitaria, mancanza di chiarezza sulle priorità: «Non scegliere è sempre più redditizio, perché quando scegli deludi».

Così, la premier riesce nell’impresa di far coincidere la fermezza delle scelte rivendicate con la visione spirituale di papa Francesco, base – ha ricordato il cardinale Pietro Parolin – della sua stessa diplomazia.

L’intervento di Parolin

Il segretario di Stato vaticano ha sottolineato che «la pace è sinonimo della giustizia» perché quella di Francesco «è una diplomazia di valori, dell’uomo per l’uomo, dei popoli per i popoli», rievocando il viaggio di Papa Francesco in Congo. Per Parolin, l’incontro a La Civiltà Cattolica è l’occasione per ricordare il 60esimo anniversario della Pacem in terris, quando nel 1962 papa Giovanni XXIII mediò per superare la crisi dei missili di Cuba tra blocco sovietico e statunitense, scongiurando un conflitto nucleare.

È questa «rivoluzione dei valori» menzionata da Parolin che si ritrova per papa Francesco, per cui la diplomazia è, innanzitutto, misericordia.

Papa Francesco ha invocato lo «spirito di Helsinki», quando cioè nel 1975, la Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, quando i capi di 35 Stati si impegnarono in un dialogo per superare i blocchi resi anzitempo netti dalla Cortina di Ferro.

All’intervento, più di ampio respiro del cardinale Parolin, ha fatto da contraltare il discorso netto della presidente del Consiglio, che ha parlato di «radici cristiane dell’Europa» e di «persecuzioni dei cristiani» con l’obiettivo di costruire un impianto monolitico, poco atto a compromessi.

Meloni ha, infatti, colto l’occasione per ribadire la coerenza delle politiche in sintonia con la visione di papa Francesco, ma non ha mancato di criticare il «club europeo», cioè un’idea di Europa poco concorde. A differenza della recente conferenza stampa a Cutro, non erano previste domande con i giornalisti sui temi più scottanti che Meloni ha potuto toccare senza contraddittorio. Un’occasione per la premier, che ha trovato nel safe space di via Pinciana il contesto per rivestire la sua agenda della benedizione pontificia.

La diplomazia di Francesco

D’altronde, la presentazione del libro di Spadaro non ha neppure lasciato spazio per i limiti dei negoziati di papa Francesco, sempre più in balìa di improvvide uscite e smentite.

Sabato scorso, per esempio, in Vaticano Francesco ha incontrato l’ayatollah Seyed Abu Al Assan Navab, rettore dell’università iraniana della città santa di Qom, la stessa università teatro dei primi avvelenamenti delle studentesse iraniane e luoghi di indottrinamento fondamentalista.

Era stato il cardinale Parolin che, nella sede Onu di New York, nel 2015 aveva puntato il dito a chi – come i terroristi dell’Isis - «mina e rifiuta ogni sistema giuridico esistente cercando di imporre il dominio sulle coscienze e il controllo sulle persone». Una visione più netta del mondo rispetto a quella del papa, che lascia la porta sempre aperta al dialogo.

La visione diplomatica di papa Francesco è una visione spirituale e profetica, buona sempre e per tutti. Anche per un governo, che non perde occasione per strumentalizzare le parole del papa. E stavolta l’occasione è stata data dal Vaticano stesso, nuovo centro della diplomazia, se non pontificia tout court, almeno gesuitica.

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