Pare che Richard Nixon, arrivando presso gli studi televisivi della Cbs a Chicago la sera del 23 settembre per il primo dei quattro dibattiti nella campagna presidenziale del 1960 contro John F. Kennedy, inciampò aggravando il dolore a un ginocchio, e dunque si presentò affaticato per la prestazione televisiva fisica più importante che si possa offrire agli elettori.

Sin dalla prima inquadratura Nixon mostrò disagio nello stare di fronte alla telecamera, un impaccio cui si aggiunse la “barba delle cinque della sera” che il candidato repubblicano decise ingenuamente di non coprire con del make-up e iniziò a sudare sotto i riflettori dello studio televisivo. Emerse un’immagine trasandata, stanca e inadatta al ruolo presidenziale, soprattutto se comparata a quella dinamica, giovane e attiva veicolata dall’abbronzato Kennedy; il quale, anche grazie a quella prova televisiva vinse le elezioni sebbene con un margine risicato (Kennedy 49,7% - Nixon 49,5% in voti popolari): secondo i sondaggi la maggior parte dei 70 milioni di telespettatori espresse favore per JFK rispetto ai radioascoltatori che preferirono Nixon.

Dibattito cuore della democrazia

All’interno della campagna elettorale i dibattiti tra candidati dei partiti maggiori costituiscono il momento di più forte spettacolarizzazione che la politica offra. Un’opportunità decisiva per esporre le proprie idee, per farsi conoscere e per entrare in empatia con gli elettori. I confronti televisivi sono un tassello decisivo, se attentamente studiato dentro la strategia comunicativa adottata dagli sfidanti, per far emergere punti di forza e di debolezza. Storici furono i dibattiti tra De Gaulle e Mitterrand, tra Mitterrand e Chirac, Carter e Reagan, Clinton e Trump, solo per citare i maggiori.

In Italia quasi nessun confronto

In Italia, nella prima parte della storia politica ha prevalso la “tribuna elettorale”, radicalmente mutata con l’irruzione sulla scena del Cavaliere e il cambio di sistema partitico ed elettorale. Iconica fu la prima campagna “personale” nel 1994 tra Berlusconi e Occhetto, quest’ultimo apparso impacciato e rigido, quasi come Nixon nel 1960; e poi la disfida Prodi/Berlusconi nel 1996 vittoriosa per il centro-sinistra e nel 2006 a parti invertite con il magnate a prevalere in tv, come ha ricordato su questo giornale Marco Damilano. Poi il nulla, nessun confronto per tre lustri. Nel 2001 Berlusconi rifiutò di incontrare Rutelli, nel 2008 non vi fu confronto tra Veltroni e il «principale esponente dello schieramento a noi avverso». A parti invertite nel 2013 Bersani perorò un dibattito tra “tutti”, ma si sfilarono sia Grillo che Monti e non se ne fece nulla. Nel 2018 Renzi ironizzò - «nell’ultima settimana faremo il confronto con gli ologrammi, di Salvini, di Di Maio, di Berlusconi» - e nel 2022, infine, Letta e Meloni si confrontarono ospiti del Corriere della sera, ma senza infiammare né gli animi né accendere uno scontro.

Nei dibattiti politici in televisione conta quanto si dice, ma anche la tecnica del linguaggio e nel prendere la parola (magari interrompendo l’avversario), il vestiario, il messaggio vocale e corporale, l’abilità nel mettere in difficoltà il rivale e la bravura nel ribattere alle accuse che si ricevono. Non sempre prevale chi rimane al merito dell’argomento e spesso emergono elementi che nulla hanno a che fare con i contenuti programmatici. Lo strumento impone il formato e bisogna prenderne atto, attrezzandosi adeguatamente, pena perdere elettori e dunque le elezioni.

Il confronto dovrebbe esserci sempre, ad ogni campagna elettorale, con una serie di dibattiti tra i principali candidati, sia in duelli che in formazione allargata. Questi incontri sono fondamentali, non solo per i partiti e i candidati, ma anche per l’opinione pubblica, i cittadini e la stampa. Ciascuno può costruire una propria idea più chiara anche in base all’esito del dibattito e quindi ri-orientare la scelta di voto. I confronti televisivi sono spesso molto seguiti e, se ben gestiti magari da un paio di giornalisti non solo “leggi-domande”, ma in grado di far emergere differenze, contraddizioni e punti di criticità, possono dettare l’agenda per le settimane successive.

Messaggi, linguaggio del corpo, proposte

La televisione, che ancora rappresenta la principale fonte di informazione televisiva per la maggioranza degli italiani, e i social media sono il cuore e la mente dei dibattiti politici e ne rimbalzano i contenuti e i messaggi come in moderne agorà. Momenti chiave che i candidati devono evitare di fallire adottando una strategia vincente, capace di irradiare una bella figura di sé e della propria proposta politica, non solo in chiave nazionale, ma anche europea. Tema questo che travalica la congiuntura delle elezioni del prossimo 9 giugno.

La politica è essa stessa dibattito e confronto, scontro sulle idee, sulle proposte, conflitto sulle soluzioni; senza si trasforma in mero artificio rivolto ai propri sostenitori raccolti in una camera chiusa alle influenze esterne. La fine della democrazia. I dibattiti politici ormai non sono più scontri di civiltà e ciò è probabilmente un bene per la qualità del confronto, purché non si riduca a mero sciorinamento del curriculum di ciascuno, senza colpo ferire, sebbene di fioretto. I duelli tra capi coalizione e partiti sono strutturalmente concepiti per mostrare visioni alternative, con toni anche radicali. La “forza tranquilla” di Mitterrand nel 1981 era un messaggio centrato sul metodo più che sul merito posto che alcune delle 101 proposte socialiste erano davvero rivoluzionarie. Oggi si tratta di dibattiti non campali, ma comunque duelli tra personalità e leader diversi per storia e proposte e che rappresentato il precipitato di idee se non dicotomiche e con varia intensità di distanza, comunque differenti.

Meloni-Schlein: comprereste un’auto usata?

Schlein in tv ha dimostrato buone qualità oratorie e negli ultimi mesi ha affinato molto la tecnica e in presenza di temi polarizzanti potrebbe essere una sorpresa per rompere la corazza della presidente del Consiglio. Meloni va decisamente meglio nei talkshow e in piazza, mentre in tv rischia di prestare il fianco ad accuse e scivolate su punti specifici, e il ruolo istituzionale potrebbe zavorrarla limitandone i toni populisti più congeniali usati nelle campagne degli ultimi dieci anni. Se il confronto sarà sui temi e sulle “ricette” Schlein potrebbe avvantaggiarsi mostrando l’alternativa, con toni “accesi” e su divisioni solo partitiche e valoriali Meloni potrebbe polarizzare la destra. L’immagine conta, ma contano le idee, le proposte, la reputazione. “Comprereste un’auto usata da quest’uomo (donna)?” Così nel 1960 i democratici attaccarono Nixon, e sulla reputazione, sulla capacità di governo va incalzato chi guida il governo. Se Schlein punta sulla in-capacità di governo di Meloni può avere chances di successo.

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