Il viaggio di Olaf Scholz a Roma sarà brevissimo. Durerà meno di mezza giornata, giusto il tempo per un pranzo di lavoro con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e un incontro con il capo dello stato, Sergio Mattarella. Il programma della trasferta non prevede neanche la partecipazione di una delegazione di governo, nonostante sia il primo bilaterale dopo l’incontro di febbraio scorso, quando Meloni era volata a Berlino.

Eppure, il viaggio è significativo per tanti aspetti. Innanzitutto quello europeo: mentre Emmanuel Macron è impegnato in questioni interne, Roma e Berlino hanno collaborato per finalizzare a livello ministeriale i dettagli del Piano d’azione, trattato diplomatico che dovrebbe garantire un maggiore allineamento tra i due paesi sulla falsariga del trattato del Quirinale tra Italia e Francia e sul trattato di Acquisgrana tra Francia e Germania. Da Berlino non escludono, in attesa dell’annuncio ufficiale, una chiusura informale dei lavori sulla bozza, che prevede una partnership molto concreta e avrà ricadute sulla svolta verde, ma anche sull’integrazione economica e la cooperazione in ambito europeo.

Insomma, tra i due paesi si è creato, nonostante le divergenze politiche tra i governi, un legame del tutto diverso rispetto a quello che c’è tra Roma e Parigi. Meloni e Scholz potrebbero finire anzi per avere un rapporto decisamente migliore di quello che la premier ha con il presidente francese, sempre più costellato di gaffe e intromissioni. Portare a casa il piano d’azione, messo in piedi da Mario Draghi e portato avanti dal governo attuale, sarebbe un bel colpo per palazzo Chigi.

E soprattutto – spera il governo italiano – un accordo potrebbe porre le basi per una trattativa in condizioni più favorevoli sui temi europei rispetto ai quali Meloni sta cercando una sponda a Berlino. Che sono principalmente due: immigrazione e riforma del patto di stabilità. Entrambi sono in agenda per l’incontro di domani. Ma le prospettive di successo per Meloni sono limitate. Nel migliore dei casi otterrà un’apertura sul tema dell’immigrazione, dove Roma e Berlino condividono la volontà di riformare la convenzione di Dublino e approcciare il problema con maggiore rigidità.

Difficile però che si trovi un accordo sui dettagli pratici: il governo tedesco spinge per un sistema di ripartizione che permetta ai migranti di fare richiesta d’asilo in centri di accoglienza sulle frontiere esterne, quindi anche in Italia, una proposta inaccettabile per Meloni. Anche i toni che l’esecutivo italiano utilizza nei confronti delle ong sono poco graditi a Berlino.

Meloni ha però intenzione di far valere il lavoro di mediazione che ha fatto in Nordafrica nelle ultime settimane, un elemento che potrebbe catturare l’attenzione del suo interlocutore. La speranza è che Scholz possa almeno in parte coprirle le spalle al prossimo Consiglio europeo in programma per fine mese. L’ultimo prima che ricominci ufficialmente la stagione degli sbarchi.

L’idea che ciò avvenga non è del tutto peregrina: dare un segnale su questo tema potrebbe rappresentare un freno all’incontenibile ascesa nei sondaggi degli estremisti di destra di Alternative für Deutschland, che sul contrasto all’immigrazione ha costruito il suo successo. La premier non può invece contare sulla stessa disponibilità per quanto riguarda la riforma del patto di stabilità. Su quello, spiegano a Domani fonti che seguono da vicino la questione, il ministro delle Finanze tedesco Christian Lindner ha già detto l’ultima parola: il falco della Fdp non è disposto a cedere sulla flessibilità in termini di indebitamento che spera di ottenere Roma.

Orizzonte europee

Sull’incontro si allunga però anche l’ombra delle elezioni europee che incombono. Nell’agenda di Scholz non è previsto un appuntamento al Nazareno, dove ha sede il partito gemello della sua Spd: troppo breve la visita, troppo grande il rischio di commettere uno sgarbo istituzionale, visto che si tratta di un viaggio governativo. Contemporaneamente, sia Meloni che Scholz sanno che saranno tra i protagonisti delle prossime elezioni europee.

Meloni, a capo dei Conservatori europei di Ecr, può ambire a raccogliere consensi pari a quelli del Partito popolare o quantomeno sufficienti a sostituirsi ai socialisti come partner di coalizione. Allo stesso tempo i socialisti saranno indispensabili per eleggere il presidente del parlamento e la prossima Commissione. Difficile dire già quali saranno i termini della trattativa, ma che i due siederanno uno di fronte all’altra dopo le elezioni è praticamente certo.

Non è da escludere che un buon rapporto possa pagare anche in quel contesto, ma in Germania l’attenzione alle elezioni europee a un anno dal voto è molto più contenuta che in Italia. Eppure i sondaggi sono chiari. La maggioranza è in profonda crisi e gli estremisti di destra di AfD sono ormai secondo partito fisso, a pari merito con la Spd di Scholz. La percezione del rischio di un boom di AfD è decisamente più tangibile nel contesto locale che in quello europeo. Motivo per cui la trattativa con Meloni – che tra l’altro appartiene a un altro gruppo europeo rispetto ad AfD – appartiene a un’altra sfera rispetto allo scontro interno del cancelliere con l’opposizione.

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