Non si può scappare dalle proprie radici e a ricordarlo a Fratelli d’Italia è servito il caso del generale Roberto Vannacci. Il suo libro Il mondo al contrario ha diviso la destra e spaccato il partito: da un lato i cosiddetti ex democristiani, capitanati dal ministro della Difesa Guido Crosetto, dall’altra chi viene dalla tradizione missina e della destra sociale.

La polemica, infiammata nei giorni scorsi, ha fatto emergere il vero nodo critico del partito della premier: da forza di lotta è diventata struttura di governo, dal 4 per cento è passata al 30 e per rientrare nei canoni di una destra europea ha dovuto annacquare, almeno pubblicamente, i credo della destra da cui proviene. Impossibili, però, da ripudiare perchè radicati nella cultura non solo dell’elettorato storico ma soprattutto della classe dirigente del partito di Giorgia Meloni.

Il cerchio magico

Il libro autoprodotto dal generale contiene posizioni omofobe, antisemite e sovraniste e il ministro Crosetto è intervenuto immediatamente, senza entrare nel merito dei contenuti ma sottolineando che un militare «ha le sue opinioni ma se porta la divisa le tiene per sè e la onora».

Da ministro di FdI, i principali attacchi contro di lui sono arrivati dalla sua stessa parte politica. Su twitter, dove è intervenuto pubblicamente, è stato contestato soprattutto da elettori di destra, mentre la critica più forte nei suoi confronti è stata mossa dal deputato meloniano Giovanni Donzelli. Quasi coetaneo di Meloni e proveniente dalla sua stessa militanza politica nel Fronte della Gioventù, è uno dei parlamentari più vicini alla premier e non interviene mai senza prima un suo via libera di massima.

Il suo intervento è stato una difesa della libertà di esprimersi del generale perchè «non è compito della politica vagliare la correttezza morale dei contenuti degli scritti» è stato un ridimensionamento deciso di Crosetto, che proviene da diversa estrazione politica e si è sempre mosso liberamente in un campo più moderato. Nella stessa area a cui ha dato voce Donzelli si inseriscono anche il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, il capogruppo al Senato Tommaso Foti e il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giovanbattista Fazzolari, che di Meloni è altro fidato consigliere. Tutti provenienti dalla comune estrazione post-missina, cui si sommano anche le file più giovani, rappresentate dalla vicecapogruppo alla Camera, Augusta Montaruli, che si è associata alle parole di Donzelli.

La spaccatura culturale, sommersa ma fortissima nelle dinamiche interne del partito, è visibile anche tra i ranghi del governo. A Fazzolari, infatti, fa da controcanto alla presidenza del Consiglio il sottosegretario Alfredo Mantovano: fonti interne li danno in rotta costante, tanto che Meloni ne avrebbe separato il più possibile gli ambiti.

Lo stesso vale tra i ministri, in cui è netta la divisione tra ex democristiani ed ex missini. Tra i primi figurano due volti stimati da Meloni ma mai inseriti nella dinamica di partito e formati nella cultura Dc, come Crosetto e il ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. Tra i secondi il capofila è Francesco Lollobrigida. Dopo le frizioni dei mesi scorsi, il rapporto tra il ministro dell’Agricoltura (e marito di Arianna Meloni, che nel partito ha il ruolo chiave di gestire il tesseramento) e la premier si sarebbe ricucito come dimostrano le vacanze insieme, e la sua funzione d’ordine soprattutto tra i gruppi nelle camere sarebbe ripresa normalmente.

In questa galassia politica - fatta di amicizie cementate in gioventù e animata dalla rivalsa per le frustrazioni di tanti anni di opposizione - regna la convinzione che non si possano lasciare spiragli a destra.

Ancora più a destra

Esiste infatti un movimento sotterraneo ma che si sta allargando, composto da forze di estrema destra che, al pari di FdI, si sentono portatrici della tradizione missina e che accusano il partito di governo di essersi troppo annacquato nel candore democristiano. Da Forza Nuova, la prima a contattare Vannacci per una candidatura, a Gianni Alemanno.

Forte della sua sempre più assidua presenza nei talk show, l’ex sindaco nero di Roma da mesi si sta preparando a far nascere una nuova forza politica e finora a preso posizioni politiche precise: contro l’invio di armi all’Ucraina, a sostegno del movimento no vax e vicino al negazionismo storico dell’estrema destra, come ha dimostrato la sua condivisione del post di Marcello de Angelis sulle responsabilità dei Nar per la strage di Bologna.

Il timore di FdI è che queste forze sappiano toccare le corde giuste negli animi degli ex camerati, difendendo posizioni come quelle di Vannacci, che sono ben radicate culturalmente nella galassia della destra ma che oggi la premier non può più ripetere ad alta voce. Se questo accade a livello extraparlamentare, anche dentro il circuito di governo è in atto una manovra simile per rubare a FdI l’elettorato dei duri e puri. Dopo aver fatto passare qualche giorno in attesa che la polemica montasse, anche Matteo Salvini ha affondato il colpo: il vicepremier ha fatto sapere che comprerà il libro di Vannacci e tra i due c’è stata una «telefonata molto cordiale».

Il motto di Meloni è il tolkieniano «le radici profonde non gelano», ma l’obiettivo dei suoi avversari è quello di tagliarle di netto.

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